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Commercio e fiducia, di Paul Krugman (New York Times 22 maggio 2015)

 

Trade and Trust

MAY 22, 2015

Paul Krugman

z 584

 

 

 

 

 

 

 

 

One of the Obama administration’s underrated virtues is its intellectual honesty. Yes, Republicans see deception and sinister ulterior motives everywhere, but they’re just projecting. The truth is that, in the policy areas I follow, this White House has been remarkably clear and straightforward about what it’s doing and why.

Every area, that is, except one: international trade and investment.

I don’t know why the president has chosen to make the proposed Trans-Pacific Partnership such a policy priority. Still, there is an argument to be made for such a deal, and some reasonable, well-intentioned people are supporting the initiative.

But other reasonable, well-intentioned people have serious questions about what’s going on. And I would have expected a good-faith effort to answer those questions. Unfortunately, that’s not at all what has been happening. Instead, the selling of the 12-nation Pacific Rim pact has the feel of a snow job. Officials have evaded the main concerns about the content of a potential deal; they’ve belittled and dismissed the critics; and they’ve made blithe assurances that turn out not to be true.

The administration’s main analytical defense of the trade deal came earlier this month, in a report from the Council of Economic Advisers. Strangely, however, the report didn’t actually analyze the Pacific trade pact. Instead, it was a paean to the virtues of free trade, which was irrelevant to the question at hand.

First of all, whatever you may say about the benefits of free trade, most of those benefits have already been realized. A series of past trade agreements, going back almost 70 years, has brought tariffs and other barriers to trade very low to the point where any effect they may have on U.S. trade is swamped by other factors, like changes in currency values.

In any case, the Pacific trade deal isn’t really about trade. Some already low tariffs would come down, but the main thrust of the proposed deal involves strengthening intellectual property rights — things like drug patents and movie copyrights — and changing the way companies and countries settle disputes. And it’s by no means clear that either of those changes are good for America.

On intellectual property: patents and copyrights are how we reward innovation. But do we need to increase those rewards at consumers’ expense? Big Pharma and Hollywood think so, but you can also see why, for example, Doctors Without Borders is worried that the deal would make medicines unaffordable in developing countries. That’s a serious concern, and it’s one that the pact’s supporters haven’t addressed in any satisfying way.

On dispute settlement: a leaked draft chapter shows that the deal would create a system under which multinational corporations could sue governments over alleged violations of the agreement, and have the cases judged by partially privatized tribunals. Critics like Senator Elizabeth Warren warn that this could compromise the independence of U.S. domestic policy — that these tribunals could, for example, be used to attack and undermine financial reform.

Not so, says the Obama administration, with the president declaring that Senator Warren is “absolutely wrong.” But she isn’t. The Pacific trade pact could force the United States to change policies or face big fines, and financial regulation is one policy that might be in the line of fire. As if to illustrate the point, Canada’s finance minister recently declared that the Volcker Rule, a key provision of the 2010 U.S. financial reform, violates the existing North American Free Trade Agreement. Even if he can’t make that claim stick, his remarks demonstrate that there’s nothing foolish about worrying that trade and investment pacts can threaten bank regulation.

As I see it, the big problem here is one of trust.

International economic agreements are, inevitably, complex, and you don’t want to find out at the last minute — just before an up-or-down, all-or-nothing vote — that a lot of bad stuff has been incorporated into the text. So you want reassurance that the people negotiating the deal are listening to valid concerns, that they are serving the national interest rather than the interests of well-connected corporations.

Instead of addressing real concerns, however, the Obama administration has been dismissive, trying to portray skeptics as uninformed hacks who don’t understand the virtues of trade. But they’re not: the skeptics have on balance been more right than wrong about issues like dispute settlement, and the only really hackish economics I’ve seen in this debate is coming from supporters of the trade pact.

It’s really disappointing and disheartening to see this kind of thing from a White House that has, as I said, been quite forthright on other issues. And the fact that the administration evidently doesn’t feel that it can make an honest case for the Trans-Pacific Partnership suggests that this isn’t a deal we should support.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Commercio e fiducia, di Paul Krugman

New York Times 22 maggio 2015

Uno dei pregi sottovalutati della Amministrazione Obama è la sua onestà intellettuale. È vero, i repubblicani vedono inganni e sinistri motivi reconditi dappertutto, ma si tratta soltanto della loro immaginazione. La verità è che, nelle aree della politica delle quali mi occupo, questa Presidenza è stata considerevolmente chiara e diretta nel dire cosa sta facendo e perché.

Ovvero, in ogni area ad eccezione di una: il commercio e gli investimenti internazionali.

Non so perché il Presidente abbia scelto di assegnare al proposto Partenariato del Trans-Pacifico una tale priorità politica. Eppure, esiste un argomento che si può avanzare per un accordo del genere, e alcune persone ragionevoli e bene intenzionate stanno sostenendo l’iniziativa.

Ma altre persone ragionevoli e bene intenzionate pongono domande serie su cosa sta succedendo. E mi sarei aspettato uno sforzo di buona fede nel rispondere a tali domande. Sfortunatamente, non è affatto quello che sta accadendo. Piuttosto, il modo in cui si cerca di far accettare il patto delle 12 nazioni che si affacciano sul Pacifico, dà la sensazione di un raggiro. I dirigenti hanno eluso le principali preoccupazioni sui contenuti del potenziale accordo; hanno minimizzato e non hanno preso in considerazione coloro che lo criticano, ed hanno utilizzato assicurazioni spensierate che si scoprono false.

La principale difesa dettagliata dell’accordo commerciale da parte dell’Amministrazione è pervenuta agli inizi di questo mese, in un rapporto del Comitato dei Consiglieri Economici. Stranamente, tuttavia, quel rapporto effettivamente non analizza il patto commerciale del Pacifico. Si è trattato, piuttosto, di una sviolinata sulle virtù del libero commercio, del tutto irrilevante sull’oggetto in questione.

Prima di tutto, qualunque cosa si possa dire sui benefici del libero commercio, gran parte di quei benefici sono già stati realizzati. Una serie di passati accordi commerciali, che risale nel tempo di quasi 70 anni, ha spinto talmente in basso le tariffe e le altre barriere al commercio, che ogni effetto che esse possono avere sul commercio statunitense viene sommerso da altri fattori, quali i cambiamenti dei valori valutari.

In ogni caso, l’accordo commerciale sul Pacifico in realtà non riguarda il commercio. Alcune tariffe già basse scenderebbero, ma l’indirizzo principale dell’accordo proposto riguarda il potenziamento dei diritti della proprietà intellettuale – oggetti come i brevetti farmaceutici e i diritti d’autore cinematografici – e il cambiamento dei modi in cui le imprese ed i vari paesi risolvono i contenziosi. E non è per niente chiaro se entrambi questi cambiamenti siano positivi per l’America.

Sulla proprietà intellettuale: brevetti e diritti d’autore e i modi in cui si premia l’innovazione. Ma abbiamo bisogno di accrescere quei premi a spese dei consumatori? È quello che pensano le grandi aziende farmaceutiche e Hollywood, ma potete anche constatare, ad esempio, le ragioni per le quali l’associazione Dottori Senza Frontiere è preoccupata che l’accordo renda i medicinali insostenibili per i paesi in via di sviluppo. È una preoccupazione seria, ed è una di quelle alle quali i sostenitori del patto non hanno risposto in modo affatto soddisfacente.

Sulla regolamentazione dei contenziosi: una bozza di un paragrafo fatta filtrare mostra che l’accordo creerebbe un sistema sotto il quale le grandi imprese multinazionali potrebbero citare in giudizio i Governi per pretese violazioni dell’intesa, ed ottenere che i casi siano giudicati da tribunali parzialmente privatizzati. Critici come la Senatrice Elizabeth Warren ammoniscono che questo potrebbe compromettere l’indipendenza della politica interna degli Stati Uniti – che, ad esempio, questi tribunali potrebbero essere utilizzati per attaccare e minare la riforma del sistema finanziario.

Non è così, dice la Amministrazione Obama, con il Presidente che afferma che la Senatrice Warren “ha assolutamente torto”. Ma ella non ha torto. Il patto commerciale del Pacifico potrebbe costringere gli Stati Uniti a cambiare politiche o a subire grandi multe, e la regolamentazione del sistema finanziario potrebbe essere la più esposta. Quasi a illustrare questa tesi, il Primo Ministro del Canada ha di recente dichiarato che la norma di Volcker, una previsione fondamentale della riforma del sistema finanziario del 2010, viola l’esistente Accordo di libero commercio Nord Americano. Anche se egli non può imporre quella pretesa, le sue osservazioni dimostrano che non è affatto sciocco preoccuparsi che i patti sul commercio e gli investimenti possano minacciare le regolamentazioni bancarie.

A me sembra che, in questo caso, ci sia un grande problema di fiducia.

Le intese economiche internazionali sono, inevitabilmente, complesse, e non si deve scoprire all’ultimo minuto – un momento prima del prendere o lasciare, del votare tutto o niente – che nel testo è stata inclusa una gran quantità di cose negative. È per questo che servono le rassicurazioni che le persone che negoziano l’accordo ascoltano le preoccupazioni che hanno fondamento, che stanno servendo l’interesse nazionale e non gli interessi delle grandi imprese molto influenti.

Piuttosto che affrontare le preoccupazioni vere, tuttavia, l’Amministrazione Obama si è mostrata altezzosa, cercando di presentare gli scettici come dilettanti non informati che non capiscono le virtù del commercio. Ma non è così: gli scettici hanno più ragioni che torti nel ponderare tematiche come la regolamentazione dei contenziosi, e l’unica economia davvero dilettantesca che ho visto in questa discussione è venuta dai sostenitori del patto commerciale.

È veramente deludente e scoraggiante constatare cose di questo genere da parte di una Casa Bianca che, come ho detto, è stata abbastanza franca su altri temi. E il fatto che l’Amministrazione evidentemente non senta di poter argomentare in modo onesto il Partenariato del Trans Pacifico, indica che esso non è un accordo che si dovrebbe sostenere.

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