Blog di Krugman

Disagio nordico (dal blog di Krugman, 29 maggio 2015)

 

May 29 1:27 pm

Northern Discomfort

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The FT has an interesting although garbled story about Finland’s economic woes. Ignore the numbers, which as best I can tell are all wrong (is this becoming an FT trademark?); more crucially, someone seems confused about the difference between wages and unit labor costs. If you go to the Conference Board numbers, you find that Finland has indeed seen a rapid rise in ULC, but not because of a wage explosion; it’s all about collapsing manufacturing productivity.

But the broader story here is that we’re increasingly seeing that the problems of the euro extend well beyond the troubles of southern European debtors. Economic performance has also been very bad in several northern nations with good credit ratings and low borrowing costs — Finland, Denmark (which isn’t on the euro but shadows it), the Netherlands.

What’s going on? Well, in the case of Finland we’re seeing the classic problems of asymmetric shocks in a currency area that isn’t optimal. Finland’s two main export sectors, forest products and Nokia, have tanked; this creates the need for a sharp fall in relative wages to make up for the lost markets, but because Finland doesn’t have its own currency anymore this adjustment must take the form of a slow, grinding internal devaluation (which is, by the way, why the garbled discussion of wages turns the story into nonsense).

The problems of the euro, in other words, weren’t caused by an outbreak of fiscal irresponsibility that won’t recur if the Greeks can be brought to heel; they weren’t even, in a deep sense, the result of big capital flows that won’t come back again. The whole single currency project was flawed from the start, and will keep generating new crises even if Europe somehow gets through this one.

 

Disagio nordico [1]

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Il Financial Times pubblica un racconto interessante, seppure ingarbugliato, sui guai economici della Finlandia. Trascurate i dati, il meglio che posso dirne è che sono tutti sbagliati (sta diventando un marchio di fabbrica del FT?); più determinante, qualcuno sembra si confonda sulla differenza tra salari e costi unitari del lavoro. Se andate ai dati di The Conference Board [2], scoprite che la Finlandia ha conosciuto in effetti una crescita rapida nei costi unitari del lavoro, ma non a causa di una esplosione salariale; tutto è dipeso da un collasso della produttività nel settore manifatturiero.

Ma la storia più generale in questo caso è che stiamo sempre di più constatando che i problemi dell’euro vanno ben oltre i guai dei debitori dell’Europa meridionale. Le prestazioni economiche sono state assai negative anche in varie nazioni del Nord con classificazioni sul credito positive e bassi costi di indebitamento – la Finlandia, la Danimarca (che non è nell’euro ma lo segue come un’ombra), l’Olanda.

Cosa sta succedendo? Ebbene, nel caso della Finlandia stiamo assistendo ai classici problemi degli shock asimmetrici in un’area valutaria non ottimale [3]. Due principali settori delle esportazioni finlandesi, i prodotti forestali e Nokia, sono calati bruscamente; questo crea la necessità di una brusca diminuzione dei salari relativi, ma poiché la Finlandia non ha più la sua propria valuta questa correzione deve avvenire nella forma di una lenta, pesante svalutazione interna (la qualcosa, per inciso, è la ragione per la quale quella confusionaria ricostruzione sui salari trasforma quel racconto in un nonsenso).

I problemi dell’euro, in altre parole, non furono prodotti da una esplosione di irresponsabilità nelle finanze pubbliche che non si ripeteranno se i Greci saranno ridotti all’obbedienza; essi non furono nemmeno, in sostanza, il risultato di grandi flussi di capitali che non avranno più luogo. L’intero progetto della valuta unica era difettoso dall’inizio, e continuerà a generare nuove crisi anche se l’Europa in qualche modo riuscirà a superare questa.

 

 

[1] La tabella mostra quanto alcuni paesi dell’Europa del Nord condividano i disagi delle nazioni europee in crisi. Come si nota la caduta del PIL procapite in Finlandia si è collocata, nel periodo 2007-2014, sostanzialmente agli stessi livelli di Spagna e Portogallo, appena un po’ meglio dell’Italia. Danimarca e Olanda seguono a ruota.

Il 27 maggio scorso, Timo Soini, sotto nella foto, il leader del partito populista ed euroscettico finlandese, è diventato Ministro degli Esteri e degli affari europei della nuova coalizione di centro destra.

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[2] Una associazione fondata nel 1916 di ricerca economica.

[3] Sul concetto di “shocks asimmetrici” si legga, tradotto in questo blog, l’intervento di Paul Krugman nel maggio del 2012 alla Conferenza annuale di Macroeconomia del National Bureau of Economic Research.

Questo è un estratto riferito a tale concetto: “Gli svantaggi di una singola valuta derivano da una perdita di flessibilità. Non si tratta solo del fatto che un’area valutaria è costretta ad una unica politica monetaria che deve andar bene per tutti; è ancora più importante la assenza di meccanismi di correzione. Per questa ragione sembrava agli ideatori dell’ OCA (Area Valutaria Ottimale), e continua a sembrare oggi, che i mutamenti nei prezzi relativi e nei salari siano molto più facilmente ottenibili attraverso la svalutazione della moneta che non attraverso la rinegoziazione dei contratti individuali. L’Islanda ha ottenuto una caduta del 25 per cento dei salari in relazione al centro Europa in un colpo solo, con la caduta del krona. La Spagna probabilmente ha bisogno di una analoga correzione, ma tale correzione, ammesso che possa davvero aver luogo, richiederà anni di brusca deflazione dei salari a fronte di una elevata disoccupazione.

Ma perché mai sono necessarie correzioni del genere? La risposta sono gli “shocks asimmetrici”. Un boom od una crisi generalizzata in un’area valutaria non presentano alcun problema particolare. Ma supponiamo, per fare un esempio tutt’altro che ipotetico, che un grande boom immobiliare porti alla piena occupazione ed alla crescita dei salari in una parte, ma solo in una parte, dell’area valutaria, dopodiché vada in crisi. L’eredità di quegli incrementi salariali dei tempi del boom sarà un settore manifatturiero non competitivo, e di conseguenza il bisogno di provocare un nuovo abbassamento dei salari, almeno relativi.

Dunque i vantaggi di una moneta unica comportano un costo potenzialmente elevato. Le teoria dell’area valutaria ottimale è relativa ad un bilancio comparato di quei vantaggi e di quei costi potenziali.”

 

 

 

 

 

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