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La battaglia sulla storia (dal blog di Krugman, 13 maggio 2015)

 

May 13 12:28 pm

Fighting for History

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And, I’m on the ground in England, jet-lagged but maybe ready to resume blogging. For today, just a quick thought inspired by two seemingly unrelated comments.

First, in a postmortem on the UK election Simon Wren-Lewis notes one failure of Labour in particular: it made no effort at all to fight the false narrative of Blair-Brown profligacy. Wren-Lewis writes,

I suspect within the Labour hierarchy the view was to look forward rather than go over the past, but you cannot abandon the writing of history to your opponents.

Meanwhile, Brian Beutler notes the very different ways Hillary Clinton and Jeb Bush are dealing with the legacies of the presidents who bore their surnames. Bill Clinton presided over an era of peace and immense prosperity; nonetheless, Hillary is breaking with some of his policy legacy, on issues from trade and financial regulation to criminal justice. George W. Bush presided over utter disaster on all fronts; nonetheless, Jeb is adopting the same policies and even turning to the same advisers.

These are, I think, related stories. Progressives tend to focus on the future, on what we do now; they are also, by inclination, open-minded and if anything eager to show their flexibility by changing their doctrine in the face of evidence. Conservatives cling to what they imagine to be eternal verities, and fiercely defend their legends.

In policy terms the progressive instinct is surely superior. It’s actually quite horrifying, if you think about it, to hear Republican contenders for president unveil their big ideas, which are to slash taxes on rich people, deregulate banks, and bomb or invade countries we don’t like. What could go wrong?

But I’m with Wren-Lewis here: progressives are much too willing to cede history to the other side. Legends about the past matter. Really bad economics flourishes in part because Republicans constantly extol the Reagan record, while Democrats rarely mention how shabby that record was compared with the growth in jobs and incomes under Clinton. The combination of lies, incompetence, and corruption that made the Iraq venture the moral and policy disaster it was should not be allowed to slip into the mists.

And it’s not just an American issue. Europe’s problems are made significantly worse by the selectivity of German historical memory, in which the 1923 inflation looms large but the Brüning deflation of 1930-32, which actually led directly to the fall of Weimar and the rise of you-know-who, has been sent down the memory hole.

There’s a reason conservatives constantly publish books and articles glorifying Harding and Coolidge while sliming FDR; there’s a reason they’re still running against Jimmy Carter; and there’s a reason they’re doing their best to rehabilitate W. And progressives need to fight back.

 

La battaglia sulla storia

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[1]

E io mi trovo sul suolo inglese, sofferente per il fuso orario ma forse pronto a riprendere l’attività del blog. Per oggi mi limito ad un pensiero veloce, ispirato da due apparentemente scollegati commenti.

Il primo, in un necrologio sulle elezioni inglesi Simon Wren-Lewis osserva, in particolare sul Labour, un grave limite: esso non ha fatto alcuno sforzo per combattere il falso racconto sugli sprechi di Blair-Brown. Wren-Lewis scrive:

“Ho il sospetto che all’interno del Labour l’opinione sia stata quella di guardare in avanti piuttosto di rimuginare sul passato, ma non si può abbandonare il lavoro di scrivere la storia agli avversari.”

Nel frattempo, Brian Beutler osserva i modi molto diversi nei quali Hillary Clinton e Jeb Bush stanno facendo i conti con le eredità dei presidenti che portano il loro stesso nome. Bill Clinton governò in un’epoca di pace e di immensa prosperità; ciononostante, Hillary sta rompendo con una parte della sua eredità politica, su temi che vanno dal commercio alla regolamentazione del sistema finanziario alla giustizia criminale. George W. Bush governò in un periodo di disastri su tutti i fronti; nondimeno Jeb sta adottando le stesse politiche e persino rivolgendosi agli stessi consiglieri.

Queste sono, secondo me, storie collegate. I progressisti tendono a concentrarsi sul futuro, su quello che facciamo adesso; sono anche, per inclinazione, di mentalità aperta, semmai desiderosi di mostrare la loro flessibilità modificando, dinanzi ai fatti, la loro dottrina. I conservatori si aggrappano a quelle che si immaginano siano verità eterne, e difendono accanitamente le loro leggende.

In termini politici, la disposizione d’animo dei progressisti è certamente superiore. In effetti è piuttosto terrificante, se ci si pensa, ascoltare i competitori repubblicani alla Presidenza svelare le loro grandi idee, che sono abbattere le tasse sui ricchi, deregolamentare le banche e bombardare o invadere i paesi che non ci piacciono. Che ci sarà mai di male?

Ma in questo caso sono d’accordo con Wren-Lewis: i progressisti sono troppo disponibili a lasciare all’altro schieramento la ricostruzione della storia. Le leggende sul passato sono importanti. In realtà la cattiva economia in parte prospera perché i repubblicani esaltano in continuazione la prestazione di Reagan, mentre i democratici ricordano raramente quanto essa sia stata indecorosa, a confronto con la crescita dei posti di lavoro e dei redditi sotto Clinton. Non si dovrebbe consentire che sulla somma di bugie, di incompetenza e di corruzione che rese l’avventura irachena quel disastro economico e politico, scivoli la nebbia.

E non si tratta soltanto di un tema anericano. I problemi dell’Europa sono resi significativamente peggiori dalla selettività della memoria storica della Germania, nella quale l’inflazione del 1923 aleggia come uno spettro, ma la deflazione di Brüning del 1930-32, che effettivamente portò alla caduta di Weimar ed alla ascesa al potere sapete-di-chi, è stata spedita nel buco della memoria.

C’è una ragione per la quale i conservatori pubblicano a ripetizione libri ed articoli che glorificano Harding e Coolidge [1] nel mentre imbrattano la memoria di Franklin Delano Roosevelt; c’è una ragione per la quale continuano a prendersela con Jimmy Carter e c’è una ragione per la quale stanno facendo il possibile per riabilitare George Bush. E i progressisti devono reagire.

 

 

 

 

 

 

 

[1] La tabella con la quale questo post inizia si riferisce a recenti sondaggi relativi al giudizio degli americani su George W. Bush. In pratica i ‘giudizi favorevoli’ sul Presidente che decise la guerra in Iraq e terminò il mandato con il disastro della crisi finanziaria, sono di recente sensibilmente migliorati (sono passati dal 35 al 44 per cento di tutti gli americani, ed anche tra i democratici sono cresciuti dal 10 al 14 per cento. In particolare, tra i repubblicani, sono passati dal 72 all’87 per cento).

[2] Alcuni cenni biografici di entrambi, da Wikipedia.

 

z 709Warren Gamaliel Harding nacque il 2 novembre 1865 in un villaggio dell’Ohio. Il padre era un medico di campagna che lavorava anche come contadino. A diciassette anni il giovane Harding abbandonò gli studi per lavorare come cronista in un giornale locale, e solo due anni dopo era già il direttore del “Marion Star“, il quotidiano del capoluogo.

Una delle personalità da lui più ammirate era il senatore Joseph B. Foraker, che gli consigliò di abbinare la professione di politico a quella di giornalista. Così, a trentacinque anni divenne senatore dell’Ohio, e nel 1914 entrò al Senato di Washington, rubando il posto proprio a Foraker, con il quale mantenne però il rapporto di amicizia. Qui Harding si fece notare criticando l’intervento americano nella prima guerra mondiale e fu quindi un vivace avversario di Woodrow Wilson, il presidente in carica.

In seguito si oppose al controllo federale delle fonti di energia, fu a favore del proibizionismo e fu uno dei principali promotori della richiesta di abolire le restrizione introdotte a causa della guerra per regolamentare certi settori produttivi. Si oppose duramente anche alla ratifica del Trattato di Versailles del 1919 e fu contro l’adesione degli USA alla Società delle Nazioni, voluta da Wilson. Alle Presidenziali del 1920, il Partito Repubblicano lo vide come il miglior candidato. Come vicepresidente gli fu affiancato Calvin Coolidge. Harding fu raccomandato ai repubblicani da Harry Dougherty, un affarista dell’Ohio che rappresentava i grandi magnati del petrolio. Harding batté nettamente il suo avversario democratico, ottenendo ben sette milioni di voti in più.

Salì dunque alla massima carica nel 1921 e nel formare il suo governo fu molto attento alle esigenze dei suoi “grandi elettori”. Affidò molti posti di responsabilità ai suoi amici dell’Ohio. Fra i più noti vi furono il Ministro del Commercio, il futuro presidente Herbert Clark Hoover, e il Ministro del Tesoro, il ricchissimo Andrew W. Mellon, fondatore tra l’altro della Mellon National Bank e magnate dell’alluminio.

 

z 707John Calvin Coolidge, originario del Vermont, si laureò al prestigioso Amherst College in Massachusetts e nel 1897 divenne avvocato a Northampton (Mass.), specializzandosi negli accordi extra-giudiziali. Si sposò nel 1905; anche la moglie era originaria del Vermont.

Nel 1898 entrò da repubblicano (dell’ala progressista) nella vita politica locale e successivamente statale, dove fu ripetutamente eletto vice-governatore (una carica allora annuale) nel 1915, 1916 e 1917; al ritiro del governatore fu eletto governatore nel 1918 e 1919.

Nel 1920 la convenzione del Partito Repubblicano (allora eletta in convenzioni statali e non in primarie) si accordò sul senatore dell’Ohio Warren G. Harding come candidato presidente. Per il candidato alla vicepresidenza i capi del partito concordavano sul senatore del Wisconsin Irvine Lenroot, ma Wallace McCamant, un delegato dell’Oregon che aveva letto “Have Faith in Massachusetts” (un famoso discorso elettorale di Coolidge), propose Coolidge, che a sorpresa ottenne la nomination.

Il 2 novembre 1920 Harding e Coolidge vinsero le elezioni conquistando ogni stato eccetto quelli del Sud. Harding lo invitò a partecipare regolarmente alle riunioni del governo, e Coolidge fu il primo vicepresidente a farlo. Alla morte di Harding gli succedette il 3 agosto 1923 impegnandosi a continuarne il programma con le stesse persone.

 

 

 

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