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Il 1998 nel 2015 (dal blog di Krugman, 28 agosto 2015)

 

Aug 28 9:32 am

1998 in 2015

David Beckworth has a good if possibly over-elaborate discussion of China’s flirtation with crisis. What I find striking is the extent to which China has managed to put itself into something like the situation many of its neighbors faced in the late 1990s. The renminbi “wants” to depreciate, partly because of a slowing economy and monetary easing, partly because of a crisis of confidence and capital flight. But Chinese authorities aren’t willing to let it drop all the way, perhaps because of fears of trade conflict but also perhaps because the private sector and state-owned enterprises now have a lot of foreign-currency debt.

What happened in 1997-1998 was that Asian depreciations turned into balance-sheet disasters, because domestic firms were highly leveraged and had lots of dollar debt. This debt soared as a share of GDP, not because of massive new borrowing, but because the denominator crashed as currencies plunged:

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International Monetary Fund

I and others wrote about this at the time; you can see, by the way, why I get annoyed at assertions that economists paid no attention to debt until the 2008 crisis, but also why I’m annoyed at myself for not realizing how a housing crash could produce balance-sheet stress just as currency crashes did in 1998 Asia.

Anyway, it looks like time to dust off the extensive analysis that took place back then. Obviously there are some important differences between China 2015 and Indonesia 1998, including huge foreign exchange reserves but also what looks like a much bigger and more problematic overhang of internal debt. But we do have a lot of material to draw on; no need to reinvent everything from scratch.

 

Il 1998 nel 2015

David Beckworth discute in modo interessante, anche se forse troppo elaborato, sulle ‘prove’ di crisi della Cina. Quello che io trovo sorprendente è la misura nella quale la Cina ha operato per finire in qualcosa di simile alla situazione che molti dei suoi vicini conobbero negli ultimi anni ’90. Il renmimbi “esige” una svalutazione, in parte per il rallentamento dell’economia e la facilitazione quantitativa, in parte per una crisi di fiducia ed una fuga dei capitali. Ma le autorità cinesi non sembrano disponibili a lasciarlo cadere completamente, forse per i timori di un conflitto commerciale, ma forse anche perché adesso il settore privato e le imprese di proprietà statale hanno una gran quantità di debito in valuta straniera.

Quello che accadde nel 1997-1998 fu che le svalutazioni asiatiche si trasformarono in disastri degli equilibri patrimoniali, perché le imprese nazionali erano altamente indebitate ed avevano una gran quantità di debiti in dollari. Come quota del PIL, questo debito salì alle stelle non per un massiccio nuovo indebitamento, ma perché il denominatore precipitò con il crollo delle valute [1]:

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Fondo Monetario Internazionale

 

A quel tempo, assieme ad altri, scrissi su questo tema; per inciso potete capire perché sono infastidito dai giudizi secondo i quali gli economisti non avrebbero fatto attenzione al debito sino alla crisi del 2008, ma anche da me stesso, perché non avevo compreso che un crollo del settore immobiliare poteva produrre una tensione negli equilibri patrimoniali proprio come il crollo delle valute l’aveva provocata  nell’Asia del 1998.

In ogni modo, sembra sia il momento di dare una rispolverata all’ampia analisi che si impose allora. Ovviamente, ci sono importanti differenze tra la Cina del 2015 e l’Indonesia del 1998, comprese le vaste riserve di cambio straniere, ma anche quello che appare come un molto più grande e problematico eccesso del debito interno. Ma abbiamo molto materiale a cui attingere; non c’è bisogno di reinventare ogni cosa partendo da zero.

 

 

[1] La tabella mostra in particolare l’incremento del debito verso l’estero come percentuale del PIL nei paesi dell’Est asiatico che furono coinvolti nella crisi del 1997-1998.

 

 

 

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