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Giochi di fiducia (dal blog di Krugman, 4 gennaio 2016)

 

Jan 4 7:52 pm

Confidence Games

OK, one more round in this models versus instincts go-round. As Robert Waldmann points out over at Brad’s place, there’s a bit of bait-and-switch going on at this point; my Mundell-Fleming claim — that countries in a liquidity trap borrowing in their own currencies shouldn’t fear Greek-style confidence crises — is being transmuted into the claim that confidence never matters, and the Blanchard result that is being cited has little bearing on that assertion.

Maybe it will help to make this specific. In the original memo on stimulus sent to Obama by his economic advisers we find this caution:

“An excessive recovery package could spook matkets or the pubblic and be counterproductive. Given where the public discussion is moving and given the “flight to treasuries” present in markets at this point, we do not believe this should deter escalation well above $600 billions – a view shared by senior Federal Reserve officials. It does speak to the importance of accompanying recovery actions with strong measures to reinforce mediun term fiscal credibility.” 

So, was it reasonable to worry about an excessive package spooking markets, and was it essential to combine stimulus with measures to produce “medium term fiscal credibility”?

My answer was and is no – that such concerns didn’t reflect a level of insight deeper than the models, but rather a gut feeling insufficiently disciplined by models.

The story as people were telling it then, and still are telling it, is that fears about US fiscal soundness would lead to capital flight; that this would drive up interest rates; and that this would be contractionary. That is, after all, what happened in Greece. But Greece doesn’t have its own currency, and as I pointed out in my Mundell-Fleming lecture, the effect of the Greek confidence crisis was a sharp fall in the monetary base, which wouldn’t happen here.

Instead, I argued, doubts about U.S. finances would be reflected in higher inflation expectations and a weaker dollar – both of which would be expansionary, not contractionary. That was, after all, what happened in the only historical case I was able to find that looked anything like the scenario being described, the attack on the French franc in the 1920s.

So let’s focus on this specific question: Were people worrying about a loss in confidence from excessive stimulus in 2009 right to be so worried? Or were they simply not thinking it through?

 

Giochi di fiducia

Dunque, un altro giro in questa giostra sui modelli a fronte degli istinti. Come mette in evidenza Robert Waldmann sulla posizione di Brad, sta andando avanti un certo equivoco su questo punto; il mio argomento alla conferenza Mundell-Fleming – che i paesi in una trappola di liquidità che prendono prestiti nella loro valuta non dovrebbero temere crisi di fiducia sul genere della Grecia – viene tramutato nella pretesa che la fiducia non sia mai importante, e la conseguenza di Blanchard che viene citata ha poca attinenza con quel giudizio.

Forse può aiutare restituire questo aspetto con precisione. Nella nota originaria inviata ad Obama sulle misure di sostegno dai suoi consiglieri economici, troviamo questo ammonimento:

“Un eccessivo pacchetto di misure per la ripresa potrebbe intimorire i mercati o l’opinione pubblica ed essere controproducente. Considerato dove si sta spostando il dibattito pubblico e considerata la “fuga verso i buoni del tesoro” presente a questo punto sui mercati, noi non crediamo che questo dovrebbe scoraggiare da un incremento assai al di sopra dei 600 miliardi di dollari – un punto di vista condiviso dai dirigenti più esperti della Fed. Esso attesta l’importanza di accompagnare azioni per la ripresa con forti misure per rafforzare la credibilità della finanza pubblica a medio termine”.

Dunque, era ragionevole preoccuparsi su un eccessivo pacchetto che avrebbe intimorito i mercati ed era essenziale combinare azioni di sostegno con misure che producessero “la credibilità nel medio termine della finanza pubblica”?

La mia risposta era ed è negativa – tali preoccupazioni non riflettevano un livello di intuizione più profonda del modelli, ma piuttosto una sensazione emotiva insufficientemente disciplinata dai modelli.

La spiegazione per come in molti la raccontavano allora, e continuano a raccontarla, era che i timori per la salute finanziaria degli Stati Uniti avrebbero condotto ad una fuga di capitali; questo avrebbe spinto in alto i tassi di interesse ed avrebbe avuto effetti di contrazione. Questo fu, dopotutto, quello che avvenne in Grecia. Ma la Grecia non aveva la sua propria valuta, e come misi in evidenza nella mia conferenza al Mundell-Fleming, l’effetto della crisi di fiducia greca fu una brusca caduta nella base monetaria, che in questo caso non avrebbe dovuto aver luogo.

Piuttosto, sostenevo, i dubbi sulle finanze degli Stati Uniti si sarebbero riflessi in aspettative di inflazione più elevate e in un dollaro più debole – entrambi aspetti che sarebbero stati espansivi, non restrittivi. Dopo tutto, quello fu il solo caso storico che fui capace di trovare che aveva qualche somiglianza con lo scenario che veniva descritto, l’attacco al franco francese del 1920.

Concentriamoci dunque su questa domanda specifica: avevano ragione le persone che nel 2009 si preoccupavano di misure di sostegno eccessive ad essere così preoccupate? Oppure semplicemente non ci rifletterono a fondo?

 

 

 

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