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Romer e Romer su Friedman (dal blog di Krugman, 26 febbraio 2016)

 

Romer and Romer on Friedman

February 26, 2016 9:20 am

Christina Romer and David Romer respond to criticisms that mainstream progressive economists attacked the Gerald Friedman analysis of the Sanders plan without going into the details by going over the analysis with a fine-toothed comb. It makes painful reading.

The main points are things I was aware of — especially the second point — but are now laid out in full:

Unfortunately, careful examination of Friedman’s work confirms the old adage, “if something seems too good to be true, it probably is.” We identify three fundamental problems in Friedman’s analysis.

  • First, all the effects of Senator Sanders’s policies that he identifies are assumed to come through their impact on demand. However, his estimates of those demand effects are far too large to be credible—even given Friedman’s own assumptions.
  • Second, in assuming that demand stimulus can raise output 37% over the next 10 years relative to the Congressional Budget Office’s baseline forecast, Friedman is implicitly assuming that the U.S. economy is (and will continue to be for a long time) dramatically below its productive capacity. However, while some output gap likely still exists, the plausible range for the output gap is much too small to accommodate demand effects nearly as large as Friedman finds. As a result, capacity constraints would likely lead to inflation and the Federal Reserve raising interest rates long before such high growth rates were realized.
  • Third, a realistic examination of the impact of the Sanders policies on the economy’s productive capacity suggests those effects are likely to be small at best, and possibly even negative.

But it gets worse. For example,

Thus, Friedman’s figures for the effect of additional government spending exceed conventional ones by at least a factor of four. He offers no evidence for such effects. Indeed, his estimates appear inconsistent with his own assumptions: he assumes that rise in government spending of $1 would typically raise real output by slightly less than a dollar (Friedman, p. 47).

We have a conjecture about how Friedman may have incorrectly found such large effects. Suppose one is considering a permanent increase in government spending of 1% of GDP, and suppose one assumes that government spending raises output one-for-one. Then one might be tempted to think that the program would raise output growth each year by a percentage point, and so raise the level of output after a decade by about 10%. In fact, however, in this scenario there is no additional stimulus after the first year. As a result, each year the spending would raise the level of output by 1% relative to what it would have been otherwise, and so the impact on the level of output after a decade would be only 1%.

Oh, dear.

I have no beef with Mr. Friedman; the campaign staff who evidently had no idea that the numbers were wildly implausible, and responded to criticism by attacking the critics’ motives, are another matter. But I hope we can now stop talking about this.

Two parting observations, however:

First, aren’t you glad not to see a candidate leading with his chin this way in the general election?

Second, this is an object lesson in the dangers of believing something because it’s what you want to hear. And that’s a lesson that applies to a lot more than economic growth projections.

 

Romer e Romer su Friedman

Christina Romer e David Romer [1] rispondono alle critiche secondo le quali i principali economisti progressisti avrebbero attaccato l’analisi del programma di Sanders da parte di Gerald Friedman senza entrare nei dettagli, questa volta passandoci sopra come con un pettine a denti fitti. Ciò rende la lettura penosa.

Gli aspetti principali sono cose delle quali ero consapevole – specialmente il secondo – ma che ora sono state messe sul tavole per intero:

“Sfortunatamente, l’esame scrupoloso del lavoro di Friedman conferma il vecchio adagio, ‘se qualcosa sembra troppo bello per essere vero, probabilmente lo è’. Nella analisi di Friedman noi identifichiamo tre problemi fondamentali:

-Anzitutto, egli assume che tutti gli effetti delle politiche del Senatore Sanders che egli identifica derivino dal loro impatto sulla domanda. Tuttavia, le sue stime di quegli effetti sulla domanda sono troppo ampie per essere credibili – persino sulla base degli stessi assunti di Friedman.

-In secondo luogo, ipotizzando che lo stimolo alla domanda possa elevare la produzione del 37% nei prossimi dieci anni, in relazione al dato di partenza delle previsioni dell’Ufficio Congressuale del Bilancio, Friedman sta implicitamente assumendo che l’economia degli Stati Uniti sia (e continuerà ad essere per lungo tempo) al di sotto della sua capacità produttiva in modo spettacolare. Tuttavia, mentre un qualche differenziale di produzione è possibile che ancora esista, la ampiezza plausibile del differenziale di produzione è troppo piccola per poter contenere effetti sulla domanda neanche lontanamente così ampi come quelli che Friedman scopre. Di conseguenza, i limiti alla capacità produttiva condurrebbero probabilmente all’inflazione e all’innalzamento dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve, molto prima che tali tassi di crescita elevata siano realizzati.

-In terzo luogo, un esame realistico dell’impatto delle politiche di Sanders sulla capacità produttiva indica che quegli effetti è probabile che siano, nel migliore dei casi, modesti, e forse persino negativi.

Ma è anche peggio. Ad esempio:

“Quindi, i dati di Friedman sugli effetti della spesa pubblica aggiuntiva eccedono quelli convenzionali di un fattore almeno pari a quattro. Egli non offre alcuna prova di tali effetti. In effetti, la sua stima appare incoerente con le sue stesse premesse: egli assume che l’aumento della spesa pubblica di un dollaro eleverebbe generalmente la produzione reale di qualcosa di leggermente inferiore a un dollaro (Friedman, pag. 47).

Noi abbiamo una congettura su come Friedman possa aver scoperto così ampi effetti in modo scorretto. Supponiamo che qualcuno ipotizzi un aumento permanente della spesa pubblica dell’1% del PIL, e supponiamo che assuma che quella spesa pubblica incrementi la produzione di un fattore pari a uno. In quel caso si potrebbe essere tentati di pensare che il programma aumenterebbe la crescita della produzione ogni anno di un punto percentuale, e dunque che aumenterebbe dopo dieci anni il livello della produzione di circa il 10%. Nei fatti, tuttavia, in questo scenario non c’è alcuno stimolo aggiuntivo dopo il primo anno. Di conseguenza, ogni anno la spesa eleverebbe il livello della produzione di un 1% rispetto a quello che sarebbe avvenuto altrimenti, e dunque l’impatto sul livello della produzione dopo un decennio sarebbe soltanto dell’1%.

Oddio!

Io non ha niente da lamentare con Friedman; lo staff della campagna elettorale che evidentemente non aveva alcuna idea di come i dati fossero paurosamente non plausibili, ed ha risposto alle critiche attaccando le motivazioni dei critici, è un’altra faccenda. Ma spero che adesso si possa smettere di parlare di cose del genere.

Tuttavia, due osservazioni di commiato:

la prima, non siete contenti di non dover assistere ad un candidato che si rende così vulnerabile [2] nelle elezioni generali?

La seconda, questa è una lezione dal vivo dei pericoli del credere in qualcosa perché è quello che volete sentirvi dire. E questa lezione si applica a molto di più che non alle sole previsioni di crescita economica.

 

[1] I coniugi Romer sono due importanti economisti americani; la signora Romer ha presieduto il Comitato dei Consulenti della Casa Bianca con Obama nel 2009, mentre il marito è uno studioso degli effetti della spesa pubblica.

[2] L’espressione “leading with his chin” – per quanto capisco – si presta a tre interpretazioni non esattamente identiche. Potrebbe significare “a testa alta”, oppure “con l’acqua alla gola”, oppure anche “che è in testa di un soffio”. Tutte e tre le soluzioni sono coerenti con il significato letterale, che deriva semplicemente dalla azione di ‘tenere il mento elevato’ (nel primo caso per ‘alzare la testa’, nel secondo per ‘non finire sotto acqua’ e nel terzo per ‘vincere sul filo di lana’). Mi pare che la soluzione più adatta al testo sia la seconda, ovvero: “non siete contenti di non dover assistere alla scena di un candidato con l’acqua alla gola (perché vulnerabile)”. Cioè: la critica alla quale non ci siamo sottratti contro il consigliere economico di Sanders, se sortirà l’effetto di togliere il candidato democratico da una situazione imbarazzante, sarà stata a fin di bene.   

 

 

 

 

 

 

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