Altri Economisti » Project Syndicate » Selezione del Mese

La Cina ha bisogno di una nuova grande strategia, di Minxin Pei (da Project Syndicate, 9 febbraio 2017)

 

FEB 9, 2017

China Needs a New Grand Strategy

MINXIN PEI

zz 325

CLAREMONT, CALIFORNIA – The Cold War ended in December 1991, when the Soviet Union disintegrated. The post-Cold War era ended in November 2016, when Donald Trump won the United States presidency.

It is impossible to predict all of what the Trump era will bring, not least because of Trump’s own capriciousness. But some consequences are already apparent. In just a couple of weeks, Trump’s presidency has upended the key assumptions underpinning China’s post-Cold War grand strategy.

The first assumption is ideological. The ostensible triumph of Western liberal democracy in 1989 imbued that system with a kind of dominance. It was therefore assumed to pose an existential threat to the Chinese Communist Party (CCP).

In the economic realm, China expected continued Western leadership on economic globalization. So China’s government developed close commercial relationships with the West – relationships that supported China’s economic growth and development, strengthening support for the CCP at home and bolstering the country’s influence abroad.

Regarding national security, China assumed that the US did not pose an imminent threat. Though the US and its allies enjoy overwhelming technological advantages – a reality that had long worried Chinese leaders – China took it almost as a given that the US would continue to place a high priority on conflict avoidance.

All in all, China’s leaders had come to terms with the dual nature of America’s hedging strategy, whereby the US engaged with China economically and diplomatically, while maintaining a robust security posture vis-à-vis China, to deter expansionism. And they had developed a strategy of their own that aimed to make the most of this relatively peaceful operating environment to pursue their main objective: rapid economic development.

Now, however, that operating environment has changed; in fact, the foundations of the post-Cold War order were fraying long before Trump arrived on the scene. Among other things, the 2008 global financial crisis and America’s strategic stumbles in the Middle East since the terrorist attacks of September 11, 2001, substantially weakened the West’s capacity to maintain the international rules-based order and provide global public goods.

None of this is news to China, which has been pursuing incremental adjustments to its grand strategy, in order to seize the opportunities created by the West’s relative decline. For example, while the US was distracted by the Middle East’s protracted and fluid conflicts, China tested the country’s resolve by flexing its own muscles, most obviously in the South China Sea.

But, overall, the changes were marginal; the strategy’s fundamentals stayed the same. That is no longer an option. With Trump in the White House, China’s grand strategy will have to be completely redrafted according to a new set of assumptions.

Ideologically, China can breathe a sigh of relief. The advent of the Trump era – together with the Brexit vote in the United Kingdom and the rise of right-wing populism in other European countries – seems to herald the precipitous decline of liberal democracy’s ideological attraction.

On the economic front, however, the new operating environment is likely to be difficult. De-globalization now seems to be a given. That is profoundly worrying for China, the world’s largest exporter by volume and arguably globalization’s greatest beneficiary.

Given China’s dependence on exports, even the best-case scenario is likely to lead to some decline in China’s potential growth. But what has China really worried are the worst-case scenarios. Economic interdependence between China and the US buffers their geopolitical and ideological rivalry. Should Trump make good on his threat to tear up trade agreements and unilaterally impose punitive tariffs, the existing global trading regime will unravel, with China as one of the biggest casualties.

But the most acute danger may lie in the realm of national security. Trump’s statements and actions since the election, together with his broader reputation as an impulsive bully and apparent belief that the world is a Hobbesian jungle, have convinced the Chinese leadership that he is itching for a fight.

Trump has not only threatened to defy the “One China” policy, which has formed the foundation of US-China relations since 1972; he has also vowed to build up US naval capabilities with the explicit goal of opposing China. Trump’s courting of Russian President Vladimir Putin has only exacerbated concerns among Chinese leaders that the US is preparing to challenge China.

These new assumptions provide some indication of the way forward for China, as it develops a new grand strategy. And yet plenty of unknowns remain. If, for example, Trump decides to take on Iran and subsequently gets sucked even deeper into the Middle East quagmire, China might get some breathing room. But if Trump opts to confront China in the South China Sea or abandons the One China policy, US-China relations could be tipped into free fall, raising the frightening prospect of a direct military conflict.

Barring that, Trump’s ascent to the presidency may usher in a new Cold War pitting the US against China. This may seem unthinkable to many. But so was Trump’s victory – until it happened.

 

La Cina ha bisogno di una nuova grande strategia,

di Minxin Pei

CLAREMONT, CALIFORNIA – La Guerra Fredda finì nel dicembre del 1991, quando si disintegrò l’Unione Sovietica. L’epoca del dopo Guerra Fredda è finita nel novembre del 2016, quando Donald Trump ha conquistato la Presidenza degli Stati Uniti.

È impossibile prevedere tutto quello che l’epoca di Trump porterà, se non altro per la stessa imprevedibilità di Trump. Ma alcune conseguenze sono già visibili. Solo in un paio di settimane, la Presidenza Trump ha capovolto i presupposti fondamentali che sorreggevano la grande strategia della Cina successiva alla Guerra Fredda.

Il primo presupposto era ideologico. Il manifesto trionfo della democrazia liberale dell’Occidente nel 1989 aveva permeato quel sistema del crisma del dominio. Si era considerato di conseguenza che costituisse una minaccia esistenziale al Partito Comunista Cinese (CCP).

Nella sfera dell’economia, la Cina si aspettava che proseguisse la globalizzazione economica a guida occidentale. Dunque il Governo cinese sviluppò strette relazioni commerciali con l’Occidente – relazioni che hanno sostenuto la crescita e lo sviluppo economico della Cina, che hanno rafforzato il sostegno al Partito Comunista Cinese all’interno e sostenuto l’influenza del paese all’estero.

Sulla sicurezza nazionale, la Cina aveva assunto che gli Stati Uniti non costituissero una minaccia imminente. Sebbene gli Stati Uniti ed i loro alleati godano di schiaccianti vantaggi tecnologici – una considerazione che ha a lungo preoccupato i dirigenti cinesi – la Cina ha considerato quasi come un dato di fatto che gli Stati Uniti avrebbero continuato ad attribuire una elevata priorità al contenimento di ogni conflitto.

In fin dei conti, i dirigenti cinesi dovevano venire a patti con la duplice natura della strategia di contenimento dell’America, per effetto della quale gli Stati Uniti erano impegnati con la Cina sul terreno economico e diplomatico, nel mentre mantenevano un solido atteggiamento di sicurezza nel rapporto diretto con la Cina, per contenerne l’espansionismo. Hanno dunque sviluppato per loro conto una strategia che si indirizzava ad ottenere il massimo da questo contesto operativo relativamente pacifico, al fine di perseguire il loro principale obbiettivo: il rapido sviluppo economico.

Adesso, tuttavia, quel contesto operativo è cambiato: di fatto, le fondamenta dell’ordine successivo alla Guerra Fredda si stavano logorando ben prima che Trump arrivasse sulla scena. Tra le altre cose, la crisi finanziaria globale e i passi falsi strategici dell’America nel Medio Oriente dal momento degli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, avevano sostanzialmente indebolito la capacità dell’Occidente di mantenere l’ordine internazionale basato su regole e di fornire beni pubblici globali.

Niente di tutto questo costituisce una novità per la Cina, che è venuta adottando progressive correzioni alla sua grande strategia, allo scopo di afferrare le opportunità create dal relativo declino dell’Occidente. Ad esempio, nel mentre gli Stati Uniti erano distratti dai conflitti prolungati e mutevoli nel Medio Oriente, la Cina metteva alla prova la sua risolutezza nel mostrare i muscoli, naturalmente soprattutto nel Mare della Cina Meridionale.

Ma, nel complesso, i cambiamenti erano stati marginali: la strategia fondamentale era rimasta la stessa. Questa non è più una opzione. Con Trump alla Casa Bianca, la grande strategia della Cina dovrà essere completamente riscritta sulla base di un nuovo complesso di presupposti.

Dal punto di vista ideologico, la Cina può tirare un sospiro di sollievo. L’avvento dell’epoca di Trump – assieme al voto sulla Brexit nel Regno Unito e all’ascesa del populismo di destra in altri paesi europei – sembra annunciare il declino precipitoso della capacità di attrazione ideologica della democrazia liberale.

Sul fronte economico, tuttavia, il nuovo contesto operativo è probabile sia complicato. La de-globalizzazione sembra adesso un dato di fatto. Questo è profondamente preoccupante per la Cina, la più forte esportatrice al mondo in volume di merci e probabilmente la massima beneficiaria della globalizzazione.

Data la dipendenza della Cina dalle esportazioni, persino il migliore scenario è probabile porti a un qualche declino nella crescita potenziale della Cina. Ma quello che ha davvero preoccupato la Cina sono gli scenari peggiori. L’interdipendenza economica tra la Cina e gli Stati Uniti attutisce la loro rivalità geopolitica e ideologica. Se Trump dovesse tener fede alla sua minaccia di fare a pezzi gli accordi commerciali e di imporre in modo unilaterale tariffe punitive, l’esistente regime del commercio globale verrebbe disfatto, e la Cina sarebbe una delle principali vittime.

Ma il pericolo più acuto può consistere nella sfera della sicurezza nazionale. I discorsi e le iniziative di Trump dal momento della sua elezione, assieme alla sua più ampia reputazione di impulsivo prepotente e alla sua apparente convinzione che il mondo sia una giungla hobbesiana, hanno convinto la leadership cinese che egli non veda l’ora di dar battaglia.

Non soltanto Trump ha minacciato di sfidare la politica di “Una Cina”, che è stata il fondamento delle relazioni tra Stati Uniti e Cina dal 1972; egli ha anche promesso di accrescere la capacità navale degli Stati Uniti nell’obbiettivo esplicito di contrastare la Cina. Il corteggiamento di Trump da parte del Presidente russo Putin ha soltanto esacerbato le preoccupazioni tra i dirigenti cinesi che gli Stati Uniti si stiano preparando a sfidare la Cina.

Questi nuovi assunti forniscono qualche indicazione della strada che la Cina percorrerebbe, se sviluppasse una nuova strategia complessiva. E tuttavia molto resta ignoto. Se, ad esempio, Trump decidesse di sfidare l’Iran e di conseguenza finisse con l’essere anche più risucchiato nel pantano mediorientale, la Cina potrebbe avere qualche margine di respiro. Ma se Trump decidesse di affrontare la Cina nel Mare della Cina Meridionale o abbandonasse la politica di ‘una Cina’, le relazioni tra gli Stati Uniti e la Cina potrebbero andare in caduta libera, aumentando la prospettiva spaventosa di un conflitto militare diretto.

Anche escludendo ciò, l’avvento di Trump alla Presidenza può inaugurare una nuova Guerra Fredda che opporrà gli Stati Uniti e la Cina. Molti possono ritenerlo impensabile. Ma era lo stesso per la vittoria di Trump – finché non è avvenuta.

 

 

 

By


Commenti dei Lettori (0)


E' possibile commentare l'articolo nell'area "Commenti del Mese"