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Un partito che non è preparato a governare, di Paul Krugman (New York Times 6 marzo 2017)

 

A Party Not Ready to Govern

Paul Krugman MARCH 6, 2017

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According to Politico, a Trump confidante says that the man in the Oval Office — or more often at Mar-a-Lago — is “tired of everyone thinking his presidency is screwed up.” Pro tip: The best way to combat perceptions that you’re screwing up is, you know, to stop screwing up.

But he can’t, of course. And it’s not just a personal problem.

It goes without saying that Donald Trump is the least qualified individual, temperamentally or intellectually, ever installed in the White House. As he veers from wild accusations against President Obama to snide remarks about Arnold Schwarzenegger, he’s doing a very good imitation of someone experiencing a personal breakdown — even though he has yet to confront a crisis not of his own making. Thanks, Comey.

But the broader Republican quagmire — the party’s failure so far to make significant progress toward any of its policy promises — isn’t just about Mr. Trump’s inadequacies. The whole party, it turns out, has been faking it for years. Its leaders’ rhetoric was empty; they have no idea how to turn their slogans into actual legislation, because they’ve never bothered to understand how anything important works.

Take the two lead items in the congressional G.O.P.’s agenda: undoing the Affordable Care Act and reforming corporate taxes. In each case Republicans seem utterly shocked to find themselves facing reality.

The story of Obamacare repeal would be funny if the health care — and, in many cases, the lives — of millions of Americans weren’t at stake.

First we had seven — seven! — years during which Republicans kept promising to offer an alternative to Obamacare any day now, but never did. Then came the months after the election, with more promises of details just around the corner.

Now there’s apparently a plan hidden somewhere in the Capitol basement. Why the secrecy? Because the Republicans have belatedly discovered what some of us tried to tell them all along: The only way to maintain coverage for the 20 million people who gained insurance thanks to Obamacare is with a plan that, surprise, looks a lot like Obamacare.

Sure enough, the new plan reportedly does look like a sort of half-baked version of the Affordable Care Act. Politically, it seems to embody the worst of both worlds: It’s enough like Obamacare to infuriate hard-line conservatives, but it weakens key aspects of the law enough to deprive millions of Americans — many of them white working-class voters who backed Donald Trump — of essential health care.

The idea, apparently, is to deal with these problems by passing the plan before anyone gets a chance to really see or think about what’s in it. Good luck with that.

Then there’s corporate tax reform — an issue where the plan being advanced by Paul Ryan, the House speaker, is actually not too bad, at least in principle. Even some Democratic-leaning economists support a shift to a “destination-based cash flow tax,” which is best thought of as a sales tax plus a payroll subsidy. (Trust me.)

But Mr. Ryan has failed spectacularly to make his case either to colleagues or to powerful interest groups. Why? As best I can tell, it’s because he himself doesn’t understand the point of the reform.

The case for the cash flow tax is quite technical; among other things, it would remove the incentives the current tax system creates for corporations to load up on debt and to engage in certain kinds of tax avoidance. But that’s not the kind of thing Republicans talk about — if anything, they’re in favor of tax avoidance, hence the Trump proposal to slash funding for the I.R.S.

No, in G.O.P. world, tax ideas always have to be presented as ways to remove the shackles from oppressed job creators. So Mr. Ryan has framed his proposal, basically falsely, as a measure to make American industry more competitive, focusing on the “border tax adjustment” which is part of the sales-tax component of the reform.

This misrepresentation seems, however, to be backfiring: it sounds like a Trumpist tariff, and has both conservatives and retailers like WalMart up in arms.

At this point, then, major Republican initiatives are bogged down for reasons that have nothing to do with the personality flaws of the tweeter in chief, and everything to do with the broader, more fundamental fecklessness of his party.

Does this mean that nothing substantive will happen on the policy front? Not necessarily. Republicans may decide to ram through a health plan that causes mass suffering, and hope to blame it on Mr. Obama. They may give up on anything resembling a principled tax reform, and just throw a few trillion dollars at rich people instead.

But whatever the eventual outcome, what we’re witnessing is what happens when a party that gave up hard thinking in favor of empty sloganeering ends up in charge of actual policy. And it’s not a pretty sight.

 

Un partito che non è preparato a governare, di Paul Krugman

New York Times 6 marzo 2017

Secondo Politico, un confidente di Trump afferma che la persona nell’Ufficio Ovale – o più spesso a Mar-a-Lago [1] – è “stanco di tutti quelli che pensano che la sua presidenza sia andata a rotoli”. Un suggerimento: il modo migliore per combattere la sensazione che stiate andando a rotoli, come si sa, è smettere di andare a rotoli.

Ma egli non può, ovviamente. E non è solo un problema personale.

Non è il caso di insistere sul fatto che Donald Trump sia l’individuo meno qualificato, per temperamento e intellettualmente, mai installato alla Casa Bianca. Quando divaga da pazzesche accuse contro il Presidente Obama a beffarde osservazioni su Arnold Schwarzenegger, è come se imitasse qualcuno che si trovi nella condizione di un esaurimento personale – anche se deve ancora fare i conti con una crisi, a parte quelle che si autoinfligge. Grazie, Comey.

Ma il più generale marasma repubblicano – l’incapacità del Partito, sino a questo punto, a fare progressi significativi su nessuna delle sue promesse politiche – non riguarda soltanto l’inadeguatezza di Trump. Si scopre che è l’intero Partito che da anni era una finzione. La retorica dei suoi dirigenti era vuota; non hanno idea di come trasformare i loro slogan in una effettiva legislazione, perché non si sono mai neppure disturbati di comprendere come funzioni una cosa di un qualche rilievo.

Si prendano le due voci principali nell’agenda del Partito Repubblicano nel Congresso: smontare la Legge sulla Assistenza Sostenibile e riformare le tasse sulle imprese. In tutti e due i casi i repubblicani sembrano totalmente allibiti dal trovarsi a fare i conti con le cose reali.

La storia della abrogazione della riforma di Obama sarebbe buffa, se non fosse in gioco l’assistenza sanitaria di milioni di americani, e in molti casi le loro vite.

Anzitutto abbiamo avuto sette – sette! – anni durante i quali i repubblicani continuavano a promettere di offrire da un giorno all’altro una alternativa alla legge di Obama, senza mai farlo. Poi sono arrivati i mesi successivi alle elezioni, con maggiori promesse di dettagli ormai imminenti.

Ora pare ci sia un piano nascosto nei sotterranei del Congresso [2].  Perché tale segretezza? Perché i repubblicani hanno tardivamente scoperto quello che alcuni di noi avevano da tempo cercato di dir loro: il solo modo per mantenere la copertura assistenziale per 20 milioni di persone che avevano ottenuto l’assicurazione grazie alla riforma di Obama sarebbe stato un piano che, sorpresa, assomigliasse molto alla riforma di Obama.

Come era prevedibile, il nuovo piano a quanto si dice è una sorta di versione raffazzonata della Legge sulla Assistenza Sostenibile. In termini politici, sembra scontentare tutti: è abbastanza simile alla riforma di Obama al punto da far infuriare i conservatori più estremisti, ma indebolisce aspetti fondamentali della legge a tal punto da privare milioni di americani – molti dei quali elettori della classe lavoratrice bianca che hanno sostenuto Donald Trump – della assistenza sanitaria fondamentale.

Pare che l’idea sia di misurarsi con questi problemi facendo approvare il piano prima che nessuno abbia la possibilità di vedere o riflettere su cosa c’è dentro. Se fosse così, buona fortuna.

C’è poi la riforma della tassa sulle società – una materia nella quale il piano che viene avanzato da Paul Ryan, il Presidente della Camera dei Rappresentanti, almeno in linea di principio, non è del tutto negativo.  Anche alcuni economisti di tendenze democratiche sostengono il passaggio ad una “tassa basata sulla destinazione dei flussi di contante”, che è meglio definibile come una tassa sulle vendite con l’aggiunta di un sussidio sugli organici (fidatevi del mio parere [3]).

Ma il signor Ryan in modo clamoroso non ha saputo avanzare il suo argomento sia ai colleghi che a potenti gruppi di interesse. Perché? Da quanto posso arguire, perché egli stesso non capisce la sostanza della riforma.

L’argomento a favore della tassa sui flussi di contante è abbastanza tecnico; tra gli altri aspetti, essa eliminerebbe gli incentivi che l’attuale sistema fiscale crea a favore delle società che si riempiono di debiti e si impegnano in alcuni tipi di elusione del fisco. Ma non è quello di cui i repubblicani stanno discutendo – semmai, essi sono a favore dell’elusione fiscale, da qua la proposta di Trump di abbattere i finanziamenti per l’Agenzia delle Entrate.

In realtà, nel mondo dei repubblicani, le idee sul fisco devono essere sempre presentate come modi per rimuovere le catene che ostacolano i perseguitati creatori di posti di lavoro. Dunque, Ryan ha inquadrato la sua proposta, in modo fondamentalmente falso, come una misura per rendere l’industria americana più competitiva, concentrandosi sulla “correzione fiscale al confine”, che è parte della tassazione sulle vendite che compone la riforma.

Questa rappresentazione fuorviante, tuttavia, sembra che gli si ritorca contro: assomiglia ad una tariffa alla Trump, cosicché sia i conservatori che società di vendite al dettaglio come la WalMart sono furiose.

Inoltre, a questo punto, importanti iniziative dei repubblicani si sono impantanate per ragioni che non hanno niente a che fare con i difetti della personalità del “cinguettatore in capo” [4], ed hanno piuttosto a che fare con la più rilevante inettitudine del suo Partito.

Questo significa che non accadrà niente di sostanziale sul fronte della politica? Non necessariamente. I repubblicani possono imporre un piano sanitario che provochi sofferenze vaste, e sperare di dare la colpa ad Obama. Possono desistere da qualcosa che assomigli ad una riforma fiscale basata su principi, e piuttosto limitarsi a gettare alcune migliaia di miliardi di dollari alla gente ricca.

Ma qualsiasi sia il risultato finale, quello a cui stiamo assistendo è ciò che accade quando un partito che ha rinunciato a riflettere seriamente a favore di vuoti slogan, finisce in carico alla politica vera e propria. E non è un bello spettacolo.

 

 

[1] Una delle residenze private di Donald Trump.

[2] Ad alcuni democratici, riferisce un articolo sul NYT, era stato riferito che la proposta di legge era depositata in una stanza nei sotterranei di Capitol Hill; successivamente era stato precisato che si trovava al primo piano. Ma è rimasta sinora introvabile, come confermato per altro da un congressista repubblicano.

[3] Suppongo che intenda dire “non è il caso che approfondiate”, e al tempo stesso rimanda, con la connessione, ad un suo post qua tradotto: “La tassa al confine in due passi, per esperti”, del 27 gennaio 2017.

Sullo stesso argomento, si veda qua tradotto: “L’argomento progressista a favore della abolizione della tassa sul reddito delle società”, di Ed Dolan.

[4] Ormai nel giornalismo americano fa tendenza chiamare Trump con le parodie più svariate della classica definizione del Presidente come “comandante in capo”: come “bugiardo in capo”, e anche “twittatore in capo”, che mi pare più grazioso tradurre con “cinguettatore” (“to tweet” significa “cinguettare”).

 

 

 

 

 

 

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