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Districare il problema della produttività del Regno Unito, Simon Wren Lewis (dal blog Mainly Macro, 28 novembre 2017)

 

Tuesday, 28 November 2017

Disentangling the UK productivity problem

Simon Wren Lewis

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As it has become clear to the non-FT/Economist media, and as it has been clear to economists for a long time, productivity growth is a far more important problem for the UK than the deficit. However I think discussion can get confused if it fails to distinguish between three aspects to the problem.

First, the UK is not alone in seeing large falls in productivity growth. Now some of that may be related to the global financial crisis, but not all of it is. As this chart taken from the excellent paper by Richard Jones shows, in the G7 productivity appears to have been declining since at least the 1980s.

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For simplicity’s sake I will call that the global productivity decline.

The second element in the UK’s productivity performance is a structural weakness relative to other countries. I know of no better way of convincing you this exists than this chart, taken from the latest OECD survey of the UK economy.

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The robots may be coming to take our jobs, but at this rate UK manufacturing will be the last place this will happen. As this report and the Jones paper also show, the UK’s R&D expenditure is weak and below the OECD average. Polly Toynbee shows it is no better on the workforce training side. [1]

I am fairly sure, however, that what we have seen since the Global Financial crisis is an additional third weakness. Here is the annual growth in UK output per hour.

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The historic trend, which showed no clear sign of following the global trend and declining after 1980 (a clear UK success), is around 2.25%. Now it is clearly possible to argue that this data shows a decline from this long run trend starting in the mid-2000s based on this aggregate data. If you factor in as well that these aggregate numbers are flattered by unsustainably fast productivity growth in financial services from 2001 to 2006 then you can maybe detect the beginning of a slowdown from the start of the millennium. This would not be surprising, as it would be very hard for the UK to buck the slowdown in global productivity for very long.

Having said all that, what happened after the Great Recession is something quite different. But it is wrong to view this period as just one of constant zero growth gloom. Productivity began to recover in 2010 and 2011, to levels that do not look too bad by international standards, but hit negative territory in the following two years. Another, this time more modest, two year recovery was followed by another collapse in 2016. This does not look like just the global productivity decline plus some additional structural weakness. Achieving negative productivity growth two years running indicates a deeper malaise.

This is why I think there is a third factor behind this terrible performance. To explain it we need to start thinking about productivity growth as not some kind of manna from heaven, churned out by our universities, or even the product of R&D by firms, but also as something akin to an investment. If you are confident of future growth and profitability, you are more likely to invest in productivity improvements (which may or may not involve physical investment) than if you are unusually uncertain or gloomy.

After recessions are over, productivity usually picks up. Firms understand the business cycle, and in UK business cycles over the last 40 odd years recessions are followed by strong growth. So when recessions have levelled out, it makes sense for firms to invest in productivity improvements. That is one reason why productivity growth resumed in 2010 and 2011. The only problem is that something quite unexpected happened. Growth did not return at all. At one stage people were talking about a second UK recession. Firms became both uncertain and gloomy, and productivity growth stopped. That shock, which we can reasonably call austerity, was the first shock that hit the economy after the GFC.

By 2013 it looked like the recovery had finally arrived. Productivity growth could resume, but maybe more cautiously than before. And that caution was justified because in the election of 2015 a new uncertainty arose: the possibility of Brexit. Brexit would be one of the most profound shocks to hit the UK for decades: certainly for firms involved in trading or international supply chains and probably wider than that. Just as the costs of waiting are small for a large investment decision when there is serious uncertainty, so Brexit meant that productivity improvements would once again be put on hold.

Thus we have three aspects to the UK’s productivity slowdown. The first is the global slowdown, which we managed to avoid for two decades but no longer. The second is a long term structural weakness in developing and applying new technology. The third is the impact of two shocks, austerity and Brexit, which has caused UK firms to put productivity improvements on hold and become very gloomy about the UK’s future. I somehow doubt that we can start doing something about the UK’s long term structural weaknesses while we continue to shoot ourselves in the foot with crazy policies like austerity or Brexit.
[1] If you think the budget made a significant difference to all this, read Anna Valero here

 

Districare il problema della produttività del Regno Unito,

Simon Wren Lewis

Come è diventato chiaro per i media (esclusi il Financial Times e l’Economist), e come da tempo era chiaro per gli economisti, la crescita della produttività è di gran lunga un problema più importante per il Regno Unito che non il deficit. Tuttavia io penso che la discussione può diventare confusa se non riesce a distinguere tra tre aspetti del problema.

Il primo, il Regno Unito non è il solo a sperimentare grandi cali nell’incremento della produttività. È vero che una parte di ciò può essere connesso con la crisi finanziaria globale, ma non interamente. Come questa tabella presa da un eccellente studio di Richard Jones mostra, nella produttività dei paesi del G7 sembra esserci stato un declino almeno a partire dagli anni ’80.

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Per semplicità lo chiamerò calo della produttività globale.

Il secondo elemento nell’andamento della produttività del Regno Unito è, in rapporto ad altri paesi, una debolezza strutturale. Non conosco modo migliore per convincervi di questa tabella, desunta dall’ultimo sondaggio dell’OCSE sull’economia britannica.

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Può darsi che i robot stiano prendendosi i nostri posti di lavoro, ma a questo ritmo il sistema manifatturiero del Regno Unito sarà l’ultimo posto dove questo accade. Come questo rapporto ed anche lo studio di Jones dimostrano, le spese per la ricerca e lo sviluppo del Regno Unito sono deboli e al di sotto della media OCSE. Polly Toynbee dimostra (in questa connessione, nel testo inglese) che non va meglio sul versante della formazione della forza lavoro [1].

Sono abbastanza sicuro, tuttavia, che quello che abbiamo conosciuto a partire dalla crisi finanziaria globale è una terza debolezza aggiuntiva. Ecco la crescita annuale della produzione oraria nel Regno Unito.

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La tendenza storica, che non aveva mostrato alcun chiaro segno di seguire la tendenza globale e il declino dopo il 1980 (un chiaro successo del Regno Unito), è attorno al 2,25%. Ora è chiaramente possibile sostenere che questi numeri mostrano un declino da questa tendenza di lungo periodo a partire dalla metà degli anni 2000, basandosi su questi dati aggregati. Se si considera anche che questi dati aggregati sono alterati da una crescita della produttività nei servizi finanziari dal 2001 al 2006 insostenibilmente rapida, allora si può forse individuare l’inizio di un rallentamento dai primi anni del nuovo millennio. Questo non sarebbe sorprendente, così come sarebbe assai difficile per il Regno Unito opporsi al rallentamento della produttività globale per molto tempo.

Ciò detto, quello che accadde dopo la Grande Recessione è qualcosa di abbastanza diverso. Ma è sbagliato considerare questo periodo semplicemente come una depressione senza alcuna crescita. La produttività ha cominciato a riprendersi nel 2010 e nel 2011, a livelli che non sembrano troppo negativi secondo gli standard internazionali, ma ha toccato un territorio negativo nei due anni seguenti. Altri due anni di ripresa, questa volta più modesti, sono stati seguiti da un collasso analogo nel 2016. Questo non assomiglia proprio ad un declino della produttività globale con l’aggiunta di qualche debolezza strutturale. Realizzare una crescita negativa della produttività per due anni di seguito indica una malattia più profonda.

Questa è la ragione per la quale penso che ci sia un terzo fattore dietro questa terribile prestazione. Per spiegarlo abbiamo bisogno di ragionare della crescita della produttività non come una manna che viene dal cielo, prodotta in batteria dalle nostre università, e neanche come un prodotto delle nostre imprese nel settore della ricerca e dello sviluppo, ma anche come qualcosa di simile ad un investimento. Se si ha fiducia nella crescita e nei margini di profitto futuri, è più probabile che si investa in miglioramenti della produttività (che possono o no includere investimenti fisici) rispetto ad essere incerti o pessimisti in modo inconsueto.

Dopo che sono passate le recessioni, normalmente la produttività ha una impennata. Le imprese capiscono il ciclo economico, e nei cicli economici del Regno Unito nel corso nel corso degli ultimi 40 strani anni, le recessioni sono state seguite da una forte ripresa. Dunque ha senso per le imprese investire in miglioramenti della produttività quando le recessioni si sono stabilizzate. Questa è una ragione per la qual la crescita della produttività è ripresa nel 2010 e 2011. Il solo problema è che è accaduto qualcosa di abbastanza inatteso. La crescita non è affatto ritornata. Al punto che le persone stavano parlando di una seconda recessione britannica. Le imprese sono diventate incerte e pessimiste, e la crescita della produttività si è fermata. Quello shock, che ragionevolmente possiami chiamare austerità, è stato il primo shock che ha colpito l’economia dopo la crisi finanziaria globale.

Con il 2013 è sembrato che la ripresa fosse finalmente arrivata. La crescita della produttività poteva riprendere, ma forse con maggiore cautela che in precedenza. E quella cautela era giustificata perché nelle elezioni del 2015 emerse una nuova incertezza: la possibilità della Brexit. La Brexit avrebbe potuto essere uno degli shock più profondi che avevano colpito da decenni il Regno Unito: certamente per le imprese impegnate nei commerci o nelle catene internazionali dell’offerta, e probabilmente in modo più ampio. Proprio come i costi dell’attesa sono modesti per un’ampia decisione di investimento, così la Brexit ha comportato che i miglioramenti nella produttività fossero messi un’altra volta in attesa.

Quindi abbiamo tre aspetti nel rallentamento della produttività nel Regno Unito. Il primo è il rallentamento globale, che abbiamo cercato di evitare per due decenni ma non oltre. Il secondo è una debolezza strutturale di lungo periodo nello sviluppare e applicare le nuove tecnologie. Il terzo è l’impatto di due traumi, l’austerità e la Brexit, che hanno spinto le imprese del Regno Unito a sospendere i miglioramenti della produttività e le hanno fatte diventare molto pessimiste sul futuro della nazione. Ho seri dubbi che si possa fare qualcosa sulle debolezze strutturali a lungo termine mentre continuiamo a spararci sui piedi con politiche pazzesche come l’austerità o la Brexit.

 

[1] Se pensate che il bilancio abbia provocato una seria differenza in tutto qusto, leggete Anna Valero in questa connessione (testo inglese).

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