Letture e Pensieri sparsi, di Marco Marcucci

La Conferenza di Bretton Woods, di Marco Marcucci. Settembre 2018

 

zz 569La conferenza di Bretton Woods – un modestissimo villaggio del New Hampshire nella cornice di montagne bellissime eppure senza una strada principale e senza negozi, ma con un albergo enorme provvisto di tutto, costruito da 240 emigrati italiani, capace di ospitare centinaia di delegati provenienti da 44 paesi, compresa l’Unione Sovietica e la Cina prerivoluzionaria – ebbe luogo nel luglio del 1944, quando ancora mancava quasi un anno alla conclusione della guerra in Europa, nonché altri mesi alla resa del Giappone. Il Presidente americano Roosevelt, nella sua lettera di saluto ai delegati, scrisse: “E’ giusto che proprio nel momento in cui la guerra di liberazione è al suo culmine, i rappresentanti degli uomini liberi si riuniscano per confrontarsi sulla forma del futuro che ci stiamo conquistando”; l’esito della guerra appariva segnato, ma la sua conclusione avrebbe ancora richiesto molte centinaia di migliaia di morti. Ciononostante, Bretton Woods decideva di un futuro ormai percepito come concretamente imminente.

Ma quale futuro? Dal libro di Benn Steil “La battaglia di Bretton Woods” (Donzelli Editore. Prima edizione in lingua inglese, 2013), si comprende in modo esauriente che si trattava in realtà di un futuro ancora assai indefinito. Alcuni capisaldi – quelli che attenevano ad una politica globale di liberalizzazione commerciale incardinata sulla Organizzazione Mondiale del Commercio e ad una politica di prestiti e di concertazione monetaria che si sarebbe giovata di nuove istituzioni come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale – erano nella mente di tutti, tanto è vero che una parte del dibattito riguardò la futura composizione di queste istituzioni. Ma quando si usa il termine “il mondo dopo Bretton Woods” sembra si voglia alludere ad un complesso di propositi molto definito, che nel 1944 non esisteva ancora.

In realtà, quelle istituzioni erano fondamentalmente dei contenitori che presupponevano la soluzione di quesiti fondamentali. Ci sarebbe stata, i cima ai nuovi assetti, una nuova moneta mondiale, oppure essi sarebbero dipesi da un primato assoluto del dollaro americano, il nuovo dominus dell’economia mondiale? L’economia coloniale, soprattutto britannica, quanto sarebbe stata ridimensionata? La partecipazione degli Stati socialisti al nuovo ordine sarebbe stata piena, o non ci sarebbe stata affatto? La politica degli aiuti finanziari da parte dell’economia che era nelle condizioni di dare prestiti a tutte le altre, quella degli Stati Uniti, avrebbe continuato a tenere unito il mondo che aveva partecipato alla guerra contro il nazifascismo, o lo avrebbe diviso?

È interessante notare che non solo questi interrogativi non erano sciolti; nella sostanza essi non venivano neanche ammessi, oppure ad essi si alludeva con  reticenza. Il tema del superamento del sistema di Stati coloniali britannici era un rilevante retropensiero della delegazione americana, e un grave timore di quella britannica, ma non venne discusso esplicitamente. L’URSS partecipò a Bretton Woods, ma successivamente non approvò il documento finale della conferenza, che pure non aveva particolarmente contrastato. La Conferenza, in buona sostanza, non fu neanche attraversata dal tema di una nuova divisione del mondo che si concretizzò in seguito con la ‘guerra fredda’. Bretton Woods non annunciò quasi niente, in sostanza, della futura politica globale; la coalizione antinazista che stava decidendo le sorti del mondo sui campi di battaglia, non era ancora nelle condizioni di guardare a quello che sarebbe venuto successivamente, ma Bretton Woods era solo un anticipo di rapporti di forza che avrebbero prodotto i loro effetti in seguito.

Forse questo in parte spiega una serie di ‘imprevisti’ che caratterizzarono i giorni e gli anni successivi.

Elenchiamone alcuni. I due “campioni” che si confrontarono nella Conferenza – Maynard Keynes in rappresentanza del Regno Unito e  Harry Dexter White per gli Stati Uniti – venivano da storie assai diverse. Keynes era il riconosciuto principale esponente mondiale della nuova teoria economica e al termine della Conferenza ricevette una ovazione commovente: in qualche modo nel suo lavoro teorico si riconosceva un comune terreno che possiamo ben definire ‘democratico’, che appariva lo sbocco del terribile decennio che volgeva al termine. Ma la proposta principale che Keynes portò alla Conferenza – la creazione di una moneta degli scambi internazionali, il ‘Bancor’ – venne sconfitta dalla determinazione con la quale White sostenne e impose l’egemonia del dollaro. E il tema era cruciale proprio dal punto di vista teorico, come si dovette riconoscere decenni dopo, quando, agli inizi degli anni ’70, Nixon dovette ammainare la bandiera ormai non più sostenibile della parità tra dollaro e oro, particolarmente messa in crisi dai costi della guerra vietnamita; e nel 2008, quando la crisi finanziaria negli USA si propagò rapidamente a tutto il mondo, giacché, così come un assetto monetario basato sul dollaro impediva una percezione tempestiva degli impatti sul mondo  dell’economia statunitense, nondimeno essi erano rapidi e pervasivi (in una delle prime traduzioni su questo blog del 25 febbraio 2010, in una prolusione all’Università di Lovanio dal titolo “Il fantasma di Bancor”, Tommaso Padoa Schioppa spiegava esaurientemente questo tema).

Come è noto, Keynes non era certo estraneo a questo duplice ruolo, teorico e politico. Aveva fatto parte della delegazione britannica alla conferenza di pace di Parigi dopo la prima guerra mondiale, la aveva abbandonata con disgusto allorché comprese l’irrazionale carica di spirito ‘vendicativo’ che caratterizzava la politica franco-britannica e previde con esattezza la prospettiva di una nuova guerra che segnava tale politica a seguito delle impossibili condizioni che vennero caricate sul popolo tedesco: il suo libro “Le conseguenze economiche della pace” fu, per quegli anni, un caso unico di bestseller. Adesso, con la proposta di ancorare gli assetti monetari ad una economia globale, nuovamente ammoniva contro una cattiva gestione della pace.

Ma venne sconfitto e gli anni che seguirono, per un verso, si incaricarono di confermare la lucidità della politica proposta da Dexter White. I temi che erano stati ‘contenuti’ nella Conferenza di Bretton Woods, si imposero in via di fatto: pochi anni dopo, nel giro di poche settimane, la potenza coloniale britannica si sgretolò; i paesi socialisti si indirizzarono verso una temeraria autarchia e il dollaro ebbe il dominio che White auspicava.

Keynes e White uscirono dalla fatica di quella esperienza con gravi complicazioni cardiache: il primo morì probabilmente per l’insopportabile fatica di quella sua missione. Il secondo – e questa è una storia nella storia nel libro di Steil – morì per un eccesso di farmaci che aveva utilizzato per reggere, all’indomani, la prova del confronto con la Commissione presieduta dal Senatore repubblicano McCarthy; l’artefice di un nuovo ordine basato sul dollaro era accusato di essere una ‘quinta colonna’ dei comunisti!

Una storia, quest’ultima, in fondo assai significativa. L’accusa non era in apparenza del tutto infondata, anche se si basava fondamentalmente su una confessione di una complice. Ma quale era il crimine di White? Il suo crimine, in fondo, era quello, nella intransigente difesa degli interessi statunitensi, di cercar di operare, con discrezione, a favore di un diverso sbocco unitario della pace. In cambio aveva ricevuto un regalo con qualche scatoletta di caviale. Ma, in quella estate del 1944, era ancora in corso l’attacco alleato in Normandia e i russi erano appena usciti da Stalingrado e si stavano concentrando nella direzione di Berlino.

Bretton Woods ebbe luogo troppo presto per indicare il prossimo sentiero della storia mondiale. Ma abbastanza tempestivamente per una ineludibile prima prova dei futuri rapporti di forza.

(Infine, nella foto sulla copertina del libro, curiosamente non è White quello che appare assieme a Keynes, pur essendo il libro dedicato a loro due. Quell’omino con i baffetti alla Hitler era il Ministro del Commercio Estero sovietico Mikhail Stepanovich Stepanov e, in realtà, non stava sorridendo al gioviale economista inglese, ma ad un vicino delegato jugoslavo. Ma nella copertina White è scomparso pur esistendo negli archivi molte foto di lui assieme a Keynes. Effetto inconscio della ‘macchia’ maccartista?)   

 

 

 

 

 

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