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Trump tocca il pulsante del panico, di Paul Krugman (New York Times, 12 settembre 2019)

 

Sept. 12, 2019

Trump Hits the Panic Button

By Paul Krugman

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Donald Trump marked the anniversary of 9/11 by repeating several lies about his own actions on that day. But that wasn’t his only concern. He also spent part of the day writing a series of tweets excoriating Federal Reserve officials as “Boneheads” and demanding that they immediately put into effect emergency measures to stimulate the economy — emergency measures that are normally only implemented in the face of a severe crisis.

Trump’s diatribe was revealing in two ways. First, it’s now clear that he’s in full-blown panic over the failure of his economic policies to deliver the promised results. Second, he’s clueless about why his policies aren’t working, or about anything else involving economic policy.

Before I get to the economics, let’s talk about one indicator of Trump’s cluelessness: his remarks about federal debt.

In addition to demanding that the Fed cut interest rates below zero, Trump declared that “we should then start to refinance our debt,” because “the USA should always be paying the lowest rate.” Observers were left scratching their heads, wondering what he was talking about.

Actually, however, it’s fairly obvious. Trump thinks that federal debt is like a business loan, which you can pay down early to take advantage of lower interest rates. He’s clearly unaware that federal debt actually consists of bonds, which can’t be prepaid (which is one reason interest rates on federal debt are always lower than, say, rates on home mortgages). That is, he imagines that the government’s finances can be managed as if the U.S. were a casino or a golf course, and it never occurred to him to ask anyone at Treasury whether that’s how it works.

But back to the economy. Why is Trump panicking?

After all, while the economy is slowing, we’re not in a recession, and it’s by no means clear that a recession is even on the horizon. There’s nothing in the data that would justify radical monetary stimulus — stimulus, by the way, that Republicans, including Trump, denounced during the Obama years, when the economy really needed it.

Furthermore, despite Trump’s claims that the Fed has somehow done something crazy, monetary policy has actually been looser than Trump’s own economic team expected when making their rosy forecasts.

In the summer of 2018 the White House’s economic projections envisioned that this year three-month interest rates would average 2.7 percent, while 10-year rates would be 3.2 percent. The actual rates as I write this are 1.9 and 1.7 percent, respectively.

But while there’s no economic emergency, Trump apparently feels that he’s facing a political emergency. He expected a booming economy to be his big winning issue next year. If, as now seems likely, economic performance is mediocre at best, he’s in deep trouble.

Remember, Trump’s two signature economic policies were his 2017 tax cut and his rapidly escalating trade war with China. The first was supposed to lead to a decade or more of rapid economic growth, while the second was supposed to revive U.S. manufacturing.

In reality, however, the tax cut delivered at most a couple of quarters of higher growth. More specifically, huge tax breaks for corporations haven’t delivered the promised surge in wages and business investment; instead, corporations used the windfall to buy back stocks and pay higher dividends.

At the same time, the trade war has turned out to be a major drag on the economy — bigger than many people, myself included, expected. Until last fall the general expectation was that Trump would deal with China the way he dealt with Mexico: make a few mainly cosmetic changes to existing arrangements, claim victory, and move on. Once it became clear that he was really serious about confrontation, however, business confidence began falling, dragging investment down with it.

And voters have noticed: Trump’s approval rating on the economy, while still higher than his overall approval, has started to decline. Hence the panicky demands that the Fed pull out all the stops.

But while Trump realizes that he’s in trouble, there’s no indication that he understands why. He’s not the kind of person who ever admits, even to himself, that he made mistakes; his instinct is always to blame someone else while doubling down on his failed policies.

Even actions that look like a slight policy softening, like his announcement of a two-week delay in implementing some China tariffs, betray a deep incomprehension of the problem — which has as much to do with his capriciousness as with the tariffs per se. Policy zigzags, even if they involve delaying tariffs, just add to the will-he-or-won’t-he uncertainty that’s causing companies to put investment on hold.

So what happens next? Trump could reverse course, and do what most people expected a year ago, reaching a deal with China that more or less restores the status quo. But that would be a de facto admission of defeat — and at this point it’s not clear why the Chinese would trust him to honor any such deal past Election Day. The fact is that when it comes to economic policy, Trump has trapped himself in a bad place.

 

Trump tocca il pulsante del panico,

di Paul Krugman

 

Donald Trump ha celebrato l’anniversario dell’11 settembre ripetendo svariate bugie sulle sue azioni di quel giorno. Ma non era quella la sua unica preoccupazione. Ha anche speso parte della giornata scrivendo una serie di messaggi su Twitter stroncando come “Zucconi” i dirigenti della Federal Reserve e chiedendo che pongano in essere immediatamente misure di emergenza per stimolare l’economia – misure di emergenza che normalmente sono messe in atto a fronte di gravi crisi.

La polemica di Trump è stata in due sensi rivelatrice. Il primo, ora è chiaro che è in un panico manifesto per l’incapacità delle sue politiche economiche a provocare i risultati promessi. Il secondo, è senza la minima idea del perché le sue politiche non stiano funzionando, o su qualsiasi altro aspetto che riguardi la politica economica.

Prima di passare all’economia, fatemi parlare di un indicatore della mancanza di idee da parte di Trump: le sue osservazioni sul debito federale.

In aggiunta alla richiesta che la Fed tagli il tasso di interesse sotto lo zero, Trump ha dichiarato che “dovremmo poi cominciare a rifinanziare il nostro debito”, perché “gli Stati Uniti dovrebbero sempre pagare il tasso più basso”. Gli osservatori sono rimasti a grattarsi la testa, chiedendosi di cosa stesse parlando.

Tuttavia, in realtà è abbastanza evidente. Trump pensa che il debito federale sia come un prestito ad un’impresa, che si può estinguere in modo prematuro per avvantaggiarsi dei tassi di interesse più bassi. Chiaramente non è consapevole che il debito fedele effettivamente consiste di bond, che non possono essere prepagati (che è una ragione per la quale i tassi di interesse sul debito federale sono sempre più bassi, ad esempio, dei tassi sui mutui delle abitazioni). Ovvero, si immagina che le finanze pubbliche possano essere amministrate come se gli Stati Uniti fossero un casinò o un campo da golf, e non gli è mai venuto in mente di chiedere a qualcuno al Tesoro se è così che funziona.

Ma torniamo all’economia. Perchè Trump è nel panico?

Dopo tutto, mentre l’economia sta rallentando, non siamo in una recessione, e non è neanche chiaro se una recessione sia persino all’orizzonte. Non c’è niente nei dati che giustifichi una radicale stimolazione monetaria – stimolo, per inciso, che i repubblicani, Trump compreso, denunciavano durante gli anni di Obama, quando l’economia ne aveva realmente bisogno.

Inoltre, nonostante la pretesa di Trump secondo la quale la Fed avrebbe fatto in qualche modo qualcosa di pazzesco, la politica monetaria è stata effettivamente più permissiva di quello che la stessa squadra economica di Trump si aspettava quando formulava le sue rosee previsioni.

Nell’estate del 2018 le previsioni economiche della Casa Bianca si immaginavano che quest’anno i tassi di interesse sui tre mesi sarebbero stati in media il 2,7 per cento, mentre i tassi decennali sarebbero stati il 3,2 per cento. Mentre scrivo i tassi effettivi sono rispettivamente l’1,9 e l’1,7 per cento.

Ma mentre non c’è alcuna emergenza economica, Trump sembra che percepisca di essere di fronte ad una emergenza politica. Si aspettava che un’economia in forte espansione fosse il suo grande tema vincente per il prossimo anno. Se, come ora sembra probabile, le prestazioni dell’economia saranno nel migliore dei casi mediocri, lui è in un serio guaio.

Si ricordi, le due politiche economiche distintive di Trump sono state il suo taglio delle tasse del 2017 e la sua guerra commerciale in rapida ascesa con la Cina. La prima si pensava portasse ad un decennio o più di rapida crescita economica, mentre la seconda si pensava rivitalizzasse il settore manifatturiero statunitense.

Tuttavia, in realtà, il taglio delle tasse ha prodotto al massimo un paio di trimestri di crescita più elevata. Più in particolare, i grandi sgravi fiscali per le società non hanno prodotto la promessa crescita dei salari e degli investimenti delle imprese; piuttosto le società hanno utilizzato quella manna per riacquistare azioni e pagare dividendi più alti.

Contemporaneamente, si è scoperto che la guerra commerciale è una importante palla al piede per l’economia – più grande di quanto molte persone, incluso il sottoscritto, si aspettavano. Sino allo scorso autunno, l’aspettativa generale era che Trump si sarebbe accordato con la Cina nello stesso modo nel quale si era accordato col Messico: fare principalmente pochi mutamenti cosmetici alle soluzioni già esistenti, vantare vittoria e andare oltre. Una volta che è diventato chiaro che egli pensava davvero seriamente ad uno scontro, tuttavia, la fiducia delle imprese ha cominciato a cadere, trascinando in basso gli investimenti.

E gli elettori l’hanno notato: la percentuale di consensi a Trump sull’economia, mentre resta più alta dei suoi consensi complessivi, ha cominciato a scendere. Da qui le richieste terrorizzate che la Fed rimuova ogni freno.

Ma mentre Trump comprende di essere nei guai, non c’è alcun indizio che ne comprenda il motivo. Egli non è il genere di persona che ammette mai, persino con sé stesso, di aver fatto errori; il suo istinto è sempre dare la colpa a qualcun altro e di raddoppiare la scommessa sulle sue politiche fallimentari.

Persino le iniziative che assomigliano ad un leggero allentamento delle politiche, come il suo annuncio di un rinvio di due settimane nel mettere in atto alcune tariffe con la Cina, tradiscono una profonda incomprensione del problema – che ha altrettanto a che fare con la sua capricciosità che con le tariffe in sé. Gli zigzag politici, anche quelli che riguardano il rinvio delle tariffe, semplicemente aumentano l’incertezza (lo farà o non lo farà?) che sta provocando la messa in sospeso degli investimenti da parte delle società.

Dunque cosa accadrà adesso? Trump potrebbe invertire gli indirizzi, e fare quello che la maggioranza delle persone si aspettavano un anno fa, raggiungendo un accordo con la Cina che più o meno ripristini lo status quo. Ma questa di fatto sarebbe una ammissione di sconfitta – e a questo punto non è chiaro perché i cinesi dovrebbero crederlo capace di onorare qualsiasi patto del genere dopo l’Election Day. Il fatto è che quando si passa alla politica economica, Trump si è intrappolato da solo in una pessima posizione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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