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Democratici, evitate la tana del coniglio, di Paul Krugman (New York Times, 17 ottobre 2019)

 

Oct. 17, 2019

Democrats, Avoid the Robot Rabbit Hole

By Paul Krugman

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One of the less discussed parts of Tuesday’s Democratic debate was the exchange that took place over automationand how to deal with it. But it’s worth focusing on that exchange, because it was interesting — by which I mean depressing. CNN’s Erin Burnett, one of the moderators, asked a bad question, and the debaters by and large — with the perhaps surprising exception of Bernie Sanders — gave pretty bad answers.

So let me make a plea to the Democrats: Please don’t go down the robot rabbit hole.

Burnett declared that a recent study shows that “about a quarter of U.S. jobs could be lost to automation in just the next 10 years.” What the study actually says is less alarming: It finds that a quarter of U.S. jobs will face “high exposure to automation over the next several decades.”

But if you think even that sounds bad, ask yourself the following question: When, in modern history, has something like that statement not been true?

After all, in the late 1940s America had about seven million farmers and around 12 million production workers in manufacturing. Machinery could and did take over much of the work those Americans were doing — and people at the time wondered where the new jobs would come from. If you think that concerns about automation are somehow new, bear in mind that Kurt Vonnegut’s novel “Player Piano,” envisioning a dystopian future in which machines have taken away all the jobs, was published in … 1952.

Yet the generation that followed was a golden age for American workers, who saw dramatic increases in their income, with many entering a rapidly growing middle class.

You might say that this time is different, because the pace of technological change is so much faster. But that’s not what the data say. On the contrary, worker productivity — which is how we measure the extent to which workers are being replaced by machines — has lately been growing much more slowly than in the past; it rose less than half as much from 2007 to 2018 as it did over the previous 11 years.

Which makes you wonder what Andrew Yang is talking about. Yang has based his whole campaign on the premise that automation is destroying jobs en masse and that the answer is to give everyone a stipend — one that would fall far short of what decent jobs pay. As far as I can tell, he’s offering an inadequate solution to an imaginary problem, which is in a way kind of impressive.

Let me also give a shout-out to Joe Biden, who echoed Yang’s talk about a “fourth industrial revolution.” More on that in a minute.

Elizabeth Warren questioned Burnett’s premise, saying that the principal reason we’re losing jobs is trade policy that has encouraged jobs to move overseas. This claim was slammed by the fact-checkers at The Associated Press, who declared that automation was the “primary culprit” in manufacturing job loss between 2000 and 2010. As it happens, Warren was more right than the supposed fact-checkers; reasonable estimates say that trade was responsible for a large share of manufacturing job loss in the decade before the Great Recession.

Warren was surely wrong to suggest, however, that changing trade policy would do much to bring good jobs back. She got onto much sounder footing when she moved on to her wider agenda of tackling inequality and the power of the wealthy.

The best answer, as I said, came from Sanders. No, I don’t support his proposed job guarantee, which probably isn’t workable. But he was right to say that there’s plenty of work to do in America, and right to call for large-scale public investment, which even mainstream economists have been advocating as a response to persistent economic weakness.

Why? Because the persistent weakness — yes, we have low unemployment at the moment, but thanks only to extremely low interest rates, and we’re very poorly prepared for the next recession — isn’t about automation; it’s about inadequate private spending.

So what’s with the fixation on automation? It may be inevitable that many tech guys like Yang believe that what they and their friends are doing is epochal, unprecedented and changes everything, even if history begs to differ. But more broadly, as I’ve argued in the past, for a significant part of the political and media establishment, robot-talk — i.e., technological determinism — is in effect a diversionary tactic.

That is, blaming robots for our problems is both an easy way to sound trendy and forward-looking (hence Biden talking about the fourth industrial revolution) and an excuse for not supporting policies that would address the real causes of weak growth and soaring inequality.

So harping on the dangers of automation, while it may sound tough-minded, is in practice a sort of escapist fantasy for centrists who don’t want to confront truly hard questions. And progressives like Warren and Sanders who reject technological determinism and face up to the political roots of our problems are, on this issue at least, the actual hardheaded realists in the room.

Other Democrats should follow their lead. They should focus on the real issues, and not get sidetracked by the pseudo-issue of automation.

 

 

Democratici, evitate la tana del coniglio [1],

di Paul Krugman

 

Una delle parti meno discusse del dibattito di martedì dei democratici, è stato lo scambio che si è sviluppato sull’automazione e sul come misurarsi con essa. Ma vale la pena di concentrarsi su quello scambio, perché è stato interessante – con il che intendo dire deprimente. Erin Burnett della CNN, uno dei moderatori, ha posto una domanda impropria e gli interlocutori in linea di massima – forse con la sorprendente eccezione di Bernie Sanders – hanno fornito risposte abbastanza scadenti.

Questo dunque mi consente di rivolgere una supplica ai democratici: per piacere non infilatevi nella ‘tana del coniglio’ del robot.   

Burnett ha dichiarato che uno studio recente mostra che “circa un quarto dei posti di lavoro degli Stati Uniti potrebbero essere perduti a causa dell’automazione, soltanto nei prossimi dieci anni”. In realtà, quello che lo studio afferma è meno allarmante: esso scopre che un quarto dei posti di lavoro degli Stati Uniti si misurerà con “una elevata esposizione all’automazione nel corso del prossimo decennio”.

Ma se pensate che anche quello sembri negativo, ponetevi la seguente domanda; quando, nella storia moderna, una affermazione del genere non è stata vera?

Dopo tutto, nei tardi anni 40’ l’America aveva circa sette milioni di agricoltori e 12 milioni di lavoratori alla produzione nel settore manifatturiero. I macchinari sostituirono buona parte del lavoro che quegli americani stavano facendo – e le persone a quel tempo si chiedevano da dove sarebbero venuti i nuovi posti di lavoro. Se pensate che le preoccupazioni sull’automazione siano in qualche modo nuove, tenete presente che il romanzo di Kurt Vonnegut [2]Piano meccanico”, che immaginava un futuro distopico nel quale le macchine avrebbero portato via tutti i posti di lavoro, venne pubblicato … nel 1952.

Tuttavia, la generazione che seguì fu un’età dorata per i lavoratori americani, che conobbero una crescita spettacolare nel loro reddito, con molti di loro che andarono a far parte di una classe media in rapida crescita.

Potreste sostenere che questa volta sarà diverso, perché il ritmo del cambiamento tecnologico è tanto più veloce. Al contrario, la produttività dei lavoratori – che è il modo in cui accertiamo la misura in cui i lavoratori vengono sostituiti dalle macchine – di recente è venuta crescendo molto più lentamente che nel passato; dal 2007 al 2018 è cresciuta meno della metà di quanto era cresciuta nei precedenti 11 anni.

Il che vi porta a chiedervi di cosa stia parlando Andrew Yang [3]. Yang ha basato la sua intera campagna elettorale sulla premessa che l’automazione stia distruggendo massicciamente i posti di lavoro e che la risposta sia dare a ciascuno uno stipendio – qualcosa che non sarebbe lontanamente all’altezza della retribuzione di posti di lavoro dignitosi. Per quanto posso dire, la sua è una soluzione inadeguata ad un problema immaginario, il che è in un certo senso qualcosa di impressionante. Ciò mi consente anche di dare un riconoscimento a Joe Biden, che ha echeggiato il linguaggio di Yang a proposito di una “quarta rivoluzione industriale”. Ma su questo arrivo tra un attimo.

Elizabeth Warren ha messo in dubbio questa premessa, dicendo che la principale ragione per la quale stiamo perdendo posti di lavoro è la politica commerciale che ha incoraggiato lo spostamento dei posti di lavoro oltreoceano. Questo argomento è andato a sbattere contro i ‘controllori dei fatti’ della Associated Press che hanno dichiarato che l’automazione è stata la “prima responsabile” nella perdita di posti di lavoro manifatturieri tra il 2000 e il 2010. Si dà il caso che la Warren avesse più ragione dei presunti ‘controllori dei fatti’; stime ragionevoli dicono che il commercio è stato responsabile di un’ampia quota di perdite nei posti di lavoro manifatturieri nel decennio precedente la Grande Recessione.

Tuttavia, la Warren ha certamente torto a suggerire che una modifica della politica commerciale farebbe molto per riportare indietro buoni posti di lavoro. Ella è approdata ad una posizione molto più sensata quando si è spostata sulla sua più ampia agenda del contrasto all’ineguaglianza e al potere dei ricchi.

Come ho detto, la migliore risposta è venuta da Sanders. Io non sostengo la sua proposta di una garanzia di posti di lavoro, che probabilmente non funzionerebbe. Ma aveva ragione a dire che c’è una gran quantità di lavoro in America e aveva ragione a pronunciarsi per investimenti pubblici di ampia scala, che anche economisti con largo seguito vengono sostenendo come una risposta alla perdurante debolezza economica.

Perché? Perché la perdurante debolezza (è vero, in questo momento abbiamo una bassa disoccupazione, ma soltanto grazie a tassi di interesse estremamente bassi, e siamo molto malamente preparati ad una prossima recessione) non riguarda l’automazione; riguarda la spesa privata inadeguata.

Che dire, dunque, della fissazione sull’automazione?  Può essere inevitabile che molti soggetti del settore tecnologico credano che quello che stanno facendo loro e i loro amici sia epocale, senza precedenti e cambi ogni cosa, anche se la storia non concorda. Ma più in generale, come ho sostenuto in passato, per una parte significativa dei gruppi dirigenti della politica e dei media, i discorsi sui robot – vale a dire il determinismo tecnologico – sono in effetti una tattica diversiva.

Dunque, sproloquiare sui pericoli dell’automazione, se può sembrare risoluto, è in pratica una sorta di fantasia d’evasione per i centristi che non vogliono misurarsi con le questioni davvero impegnative. E i progressisti come la Warren e Sanders che respingono il determinismo tecnologico e affrontano le radici politiche dei nostri problemi sono, almeno su questo tema, i veri realisti determinati della compagnia.

Gli altri democratici dovrebbero seguire il loro indirizzo. Dovrebbero concentrarsi sui temi veri e non esserne distolti dal pseudo problema della automazione.

 

 

 

 

 

 

[1] La “tana del coniglio” è un altro luogo mitico di Alice nel paese delle meraviglie – il buco nell’albero dove Alice entra seguendo il Coniglio Bianco, all’inizio del racconto di Lewis Carroll. Ha acquistato il senso di tutto ciò che trasporta in un luogo magico di meraviglie o di incubi, come un allucinogeno.

[2] Kurt Vonnegut Jr. (Indianapolis11 novembre 1922 – New York11 aprile 2007) è stato uno scrittore e accademico statunitense. Dopo le prime opere di genere fantascientifico, la sua produzione letteraria si è andata caratterizzando per un’originale mescolanza di elementi fantastici, satira politica, sociale e di costume, humor nero ed espressione di valori umanisti. Il suo primo romanzo fu Piano meccanico (Player Piano), pubblicato nel 1952, un’opera fantascientifica che descrive l’anti-utopia di un’America diventata succube della tecnologia. (Wikipedia)

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[3] Imprenditore, avvocato e filantropo, nonché candidato alle primarie presidenziali democratiche per il 2020. Ha fondato Venture for America, una associazione non profit che si concentra sulla creazione di posti di lavoro nelle città americane in difficoltà.

 

 

 

 

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