Altri Economisti » Project Syndicate » Selezione del Mese

Evitare la nipponizzazione dell’Europa, di Lucrezia Reichlin (da Project Syndicate, 5 agosto 2020)

 

Aug 5, 2020

Avoiding the Japanification of Europe

LUCREZIA REICHLIN

zz 683

BOLOGNA – As monetary and fiscal authorities have acted aggressively to blunt the COVID-19 pandemic’s economic impact, public debt and central-bank balance sheets have swelled rapidly. In the European Union, this trend is compounded by a new €750 billion ($886 billion) COVID-19 recovery fund, which includes the issuance of so-called “recovery bonds” guaranteed by the EU’s multiyear budget and, possibly, by Europe-wide taxation.

This is a whole new world for all advanced countries except one: Japan. It is not the “nice” world of the 1990s, characterized by stable inflation, steady output, fiscal prudence, and a narrow central-bank focus on manipulating short-term interest rates to meet inflation targets. But nor does our turbulent world resemble that of the 1970s, marked by high inflation, volatile output, fiscal profligacy, and excessively accommodative monetary policy.

In today’s world, inflation is very low and is expected to remain so, and monetary authorities enjoy significant credibility – much more than in the past. Advanced countries are headed for a situation in which the distinction between monetary and fiscal policy is merely academic, and debt consolidation is unrealistic.

This has long been the case in Japan, with its very low inflation, negative interest rates, and a public debt-to-GDP ratio of 200%, 70% of which is held by the central bank. But most countries are not used to facing these problems. Addressing them – and avoiding a deflationary spiral – will require a creative and coordinated approach to monetary and fiscal policy.

The challenge will be particularly profound in the eurozone, which has a common monetary policy but lacks a shared budgetary policy, notwithstanding the new recovery fund. Overcoming it will require an institutional setup that is very different from the one established in the Maastricht Treaty. Europe’s leaders must urgently begin discussing what that setup must be, and how to get there.

The European Central Bank’s current strategy review provides an opportunity to address some of the issues at stake. For example, the ECB could update the definition of price stability, so that it has the flexibility to overshoot the inflation target in the short term, thereby compensating for years of undershooting. This would help to prevent long-term inflation expectations from stabilizing at too low a level, resulting in real interest rates that are incompatible with full employment.

One solution could be to adopt nominal GDP targeting. That way, in responding to supply shocks that drive up prices and depress output, the ECB would weigh the two target variables equally. This would discourage policymakers from taking an excessively hawkish stance at a time when a range of factors – from climate change to pandemics to financial crises – threaten to produce many more supply shocks.

But such a change would go only so far. The vital issue – which will most likely demand some new piece of legislation and a departure from the Maastricht Treaty – is the relationship between monetary and fiscal policy. In a unitary state like the United States or the United Kingdom, monetary- and fiscal-policy coordination is possible in service of an agreed target – for example, in terms of nominal GDP.

For example, in circumstances when fiscal policy is more effective than monetary policy – such as when interest rates reach their effective lower bound – debt-financed tax cuts could be pursued, with the central bank acting as a buyer of government debt. The shared target, meanwhile, would ensure the credibility of the monetary authority, protecting it from so-called “fiscal dominance.”

In a monetary union, the dynamic is more complicated, making a formal structure for coordination all the more important. Monetary and fiscal policymakers should be working in concert to achieve the right combination of inflation, output, interest rates, and sovereign risk. But such coordination would affect, among other things, the ECB’s bond-buying program, including how much risk it assumes and the geographical mix of the bonds it purchases.

Should the ECB now be purchasing relatively safe recovery bonds, or leaving those to the market, while directing its purchasing program toward riskier assets? This is a monetary-policy decision with fiscal consequences. It should not be left to the central bank alone.

What institutional changes could resolve this problem? To begin, the EU must consider the desirability of an independent fiscal authority with which the ECB could coordinate policy. The two bodies would meet regularly to set relevant targets – relating to deficits, interest rates, and prices – and to evaluate whether national policies are aligned with those targets.

The pandemic has upended many existing rules and institutional guidelines. For example, the EU has suspended its limits on fiscal deficits, which most economists think should not be reintroduced any time soon, especially not in their current form. If EU leaders take this as an opportunity to pursue radical, forward-looking change, the COVID-19 upheaval could move the bloc to a better place. Otherwise, conditions could become much worse. Just ask the Japanese.

 

 

Evitare la nipponizzazione dell’Europa,

di Lucrezia Reichlin

 

BOLOGNA – Mentre le autorità monetarie e della finanza pubblica hanno agito aggressivamente per attenuare l’impatto economico della pandemia del Covid-19, il debito pubblico e i conti patrimoniali della banca centrale si sono rapidamente gonfiati. Nell’Unione Europea, questa tendenza è aggravata da nuovi 750 miliardi di euro (886 miliardi di dollari) del fondo per la ripresa dal Covid-19, che include la emissione dei cosiddetti “recovery bonds” garantiti dal bilancio poliennale dell’Unione Europea e, forse, da una tassazione di dimensione europea.

Questo è un mondo interamente nuovo per tutti i paesi avanzati ad eccezione di uno: il Giappone. Non è il mondo “gentile” degli ani ’90, caratterizzato da inflazione stabile, da una produzione regolare, dalla prudenza nella finanza pubblica e da una concentrazione della banca centrale limitata alla manipolazione dei tassi di interesse a breve termine per andare incontro agli obbiettivi di inflazione. Ma il nostro mondo turbolento non assomiglia neppure a quello degli anni ’70, segnato da elevata inflazione, produzione volatile, da sprechi nella finanza pubblica e da una politica monetaria eccessivamente accomodante.

Nel mondo di oggi l’inflazione è molto bassa e ci si aspetta che resti tale, e le autorità monetarie godono di una credibilità significativa – assai maggiore che nel passato. I paesi avanzati sono indirizzati verso una situazione nella quale la distinzione tra politica monetaria e della finanza pubblica è meramente accademica, e il consolidamento del debito è irrealistico.

Questo è stato a lungo il caso del Giappone, con la sua inflazione molto bassa, i tassi di interesse negativi e un rapporto tra debito pubblico e PIL del 200%, il 70% del quale è detenuto dalla banca centrale. Ma la maggioranza dei paesi non sono abituati a fronteggiare questi problemi. Affrontarli – ed evitare una spirale deflazionistica – richiederà un approccio creativo e coordinato alla politica monetaria e della finanza pubblica.

La sfida sarà particolarmente seria nell’eurozona, che ha una politica monetaria comune ma manca di una politica di bilancio condivisa, malgrado il nuovo finanziamento per la ripresa. Superarla richiederà un assetto istituzionale molto diverso da quello stabilito nel Trattato di Maastricht. I leader dell’Europa devono urgentemente avviare un dibattito su cosa debba essere tale assetto, e su come arrivarci.

L’attuale revisione della strategia della Banca Centrale Europea fornisce una opportunità per affrontare alcuni dei temi che sono in gioco. Ad esempio, la BCE potrebbe aggiornare la definizione della stabilità dei prezzi, in modo tale da avere quella flessibilità che permetta di non raggiungere l’obbiettivo di inflazione nel breve termine, per poi compensarlo per gli anni nei quali non è stato conseguito. Questo aiuterebbe ad impedire che le aspettative di inflazione a lungo termine si stabilizzino ad un livello troppo basso, comportando tassi di interesse reali che sono incompatibili con la piena occupazione.

Una soluzione potrebbe essere adottare l’obbiettivo del PIL nominale. In quel modo, nel rispondere agli shock dell’offerta che spingono in alto i prezzi e deprimono la produzione, la BCE potrebbe considerare sullo stesso piano le due variabili di obbiettivo. Questo scoraggerebbe le autorità all’assumere posizioni eccessivamente aggressive in un periodo nel quale un complesso di fattori – dal cambiamento climatico alle pandemie alle crisi finanziarie – minacciano di produrre molti più shock dell’offerta.

Ma tale cambiamento funzionerebbe solo sino ad un certo punto. Il tema vitale – che con tutta probabilità richiede alcune nuove parti di legislazione e un allontanamento dal Trattato di Maastricht – è la relazione tra la politica monetaria e quella della finanza pubblica. In un stato unitario come gli Stati Uniti o il Regno Unito, il coordinamento della politica monetaria e di quella della finanza pubblica è possibile al servizio di un obbiettivo condiviso – ad esempio, nei termini del PIL nominale.

In circostanze nelle quali la politica della finanza pubblica è più efficace di quella monetaria – come quando i tassi di interesse raggiungono il loro effettivo limite inferiore – potrebbero ad esempio essere perseguiti tagli alle tasse finanziati col debito, con la banca entrale che agisce come compratore del debito pubblico. Contemporaneamente, l’obbiettivo condiviso assicurerebbe la credibilità della autorità monetaria, proteggendola dal cosiddetto “dominio della finanza pubblica”.

In una unione monetaria, la dinamica è più complicata, rendendo una struttura formale di coordinamento ancora più importante. Le autorità monetarie e della finanza pubblica dovrebbero agire di concerto per realizzare la giusta combinazione di inflazione, di produzione, di tassi di interesse e di rischi sovrani. Ma tale coordinamento influenzerebbe, tra l’altro, il programma di acquisto dei bond della BCE, inclusa la quantità di rischio che si assume e il mix geografico dei bond che acquista.

Dovrebbe in quel caso la BCE acquistare bond per la ripresa relativamente sicuri, oppure lasciarli al mercato, indirizzando il suo programma di acquisti verso asset più rischiosi? Questa sarebbe una decisione di politica monetaria con conseguenze di finanza pubblica. Non dovrebbe essere lasciata soltanto alla banca centrale.

Il che senso i cambiamenti istituzionali potrebbero risolvere questo problem? Per cominciare, l’UE deve considerare la desiderabilità di una autorità di finanza pubblica indipendente con la quale la BCE potrebbe coordinare la politica. I due organismi dovrebbero incontrarsi regolarmente per stabilire obbiettivi rilevanti – relativi ai deficit, ai tassi di interesse ed ai prezzi – e per valutare se le politiche nazionali sono allineate a quegli obbiettivi.

La pandemia ha sovvertito molte regole e linee guida istituzionali esistenti. Ad esempio, l’UE ha sospeso i suoi limiti sui deficit di finanza pubblica, che la maggior parte degli economisti pensa non dovrebbero essere reintrodotti in breve tempo, particolarmente nella loro forma attuale. Se i leader dell’UE utilizzano questa come una opportunità per perseguire un cambiamento radicale che guarda in avanti, lo sconvolgimento del Covid-19 potrebbe spostare la coalizione in una posizione migliore. Altrimenti, le condizioni potrebbero diventare peggiori. Basta chiederlo ai giapponesi.

 

 

 

 

 

 

By


Commenti dei Lettori (0)


E' possibile commentare l'articolo nell'area "Commenti del Mese"