Letture e Pensieri sparsi, di Marco Marcucci

Una nuova serie di diagrammi. Marco Marcucci, 15 novembre 2021.

Diagrammi, ovvero lo “scrivere attraverso”

 

Vorrei provare a pubblicare, nella voce dei “pensieri sparsi”, alcune tabelle o diagrammi; quelli che mi sembrano più illuminanti  e che spesso sono fuori dalle traduzioni degli articoli. Per una qualche ragione, spesso questi diagrammi si trovano soprattutto sulle pagine di Twitter dei vari economisti (Twitter – forse per il limite del numero di parole prescritto ai singoli interventi – è diventato infatti il luogo degli “appunti”, degli interventi brevissimi, della memorizzazione del materiale di lavoro e della interlocuzione rapida con gli altri).

Per inciso diagramma” viene dal greco, dove significa “disegnare”; ma l’etimo, significativamente, deriva da διά «attraverso» e γράϕω «scrivere». Ovvero: “scrivere attraverso”.

Alcune volte queste forme di comunicazione sono straordinariamente istruttive: immagini di informazioni e di concetti importanti, che spesso abbracciano  anni o epoche intere, e che non hanno bisogno di nessuna parola per superare la prova della loro “falsificabilità”. I segmenti che attraversano le tabelle indicano quello che è successo, gli spazi bianchi attorno quello che non è successo. Punto. Immagini, dunque, che non permettono alle idee di degenerare in tendenziosi e e soprattutto noiosi corpi contundenti, come spesso oggi accade quasi per tutto.

Mi pare evidente che molti economisti, negli ultimi anni in particolare, abbiano sviluppato un interesse particolare per i diagrammi (nei classici dell’economia i diagrammi quasi non esistevano, non mi pare se ne trovi uno in Smith, Marx o Keynes, anche se le loro opere si basavano su una conoscenza prodigiosa dei dati), e non credo che dipenda solo dal fatto che oggi si possiedono strumenti tecnologici che consentono loro di parlare e di parlarsi in una specie di quaderno degli appunti unico e globale.  Forse non dipende  neanche solo dal fatto che un diagramma è una incontestabile scrittura di fatti.  Dipende anche dalla possibilità che le immagini talora hanno di suggerire una prospettiva nuova, che va oltre un elenco di informazioni. L’esempio migliore che mi viene in mente è l’ormai famoso diagramma di pochi anni fa “dell’elefante” di Milanovic, che mostrava l’andamento dell’ineguaglianza globale. FataTurchina lo ha pubblicato varie volte e quindi non lo includo  tra gli esempi di questo mese. Ma, essendo un esempio straordinario della efficacia di questo “scrivere attraverso”, gli dedico una breve nota in calce a questa prima serie.

Queste dunque sono le prime istantanee di una serie che penso potrei pubblicare ogni tanto.

 

zzz 3271 – Oggetti, anziché servizi.

Il diagramma – pubblicato su Twitter da Paul Krugman il 6 novembre e desunto da @TBPInvictus – mostra l’evoluzione in dieci anni delle spese per i consumi di beni durevoli (linea blu) e di servizi (linea rossa), negli Stati Uniti.

Come si nota, la novità prodotta dalla recessione pandemica – che è indicata dal segmento in grigio – è assolutamente unica. Secondo Krugman, avvenne qualcosa di simile all’indomani della Guerra di Corea, quando si verificarono problemi analoghi derivanti da ‘strozzature’ nell’offerta. Ma questa volta la novità è che la crisi delle spese per i servizi è stata compensata, durante la pandemia, da una crescita delle spese per gli oggetti. Non è rilevante soltanto l’inversione tra i due tipi di spesa, che si spiega con l’ostruzione di parte dei canali nella spesa per i servizi (ristoranti, cinema, eventi culturali e sportivi, palestre etc.) e la loro sostituzione con vari genere di prodotti durevoli, ma anche la simmetria quasi perfetta dell’inversione.

Il che, in fondo, significa che la massa di ciò che si è disposti a spendere per i consumi non varia granché: ci si adatta e si spende in altri modi possibili quello che si ha a disposizione. Un po’ scoraggiante, per i cultori della “decrescita”.  Per consumare di meno pare ci voglia più di una pandemia. E, naturalmente, il tutto vale per coloro che hanno da spendere.

 

zzz 3282 – L’anidride carbonica dei ricchi.

Questo secondo diagramma lo traggo da Branko Milanovic ed anche da Gabriel Zucman (che a loro volta lo derivano da Le reste du monde e da Alexander Kaufman) ed è pubblicato su Twitter di novembre.

I pallini celesti indicano le quantità di emissioni di anidride carbonica, espresse in tonnellate procapite, attribuibili al 50% dei cittadini più poveri; quelle con i pallini marroni sono attribuibili al 10% dei più ricchi; i pallini grigi indicano le emissioni medie procapite dei vari paesi. Le emissioni sono calcolate in rapporto ai consumi, ovvero indicano la quantità di anidride carbonica incorporata nel consumo di vari prodotti in relazione ai diversi stili di vita; in quanto tali esse segnalano le differenze di consumo e dunque le ineguaglianze.

Come si vede i divari tra poveri e ricchi sono particolarmente elevati negli USA, nel Canada e nel Regno Unito, anche se negli USA le emissioni dei ricchi sono praticamente doppie che negli altri due. I paesi occidentali si collocano grosso modo nella stessa fascia di quantità di emissioni  appannaggio dei ricchi; così come per le emissioni dei poveri e per le emissioni procapite medie. Talora il divario tra poveri e ricchi è particolarmente accentuato, il che indica che le ineguaglianze in quei paesi sono particolarmente elevate (i casi della Russia e del Sudafrica).

In effetti è impressionante la differenza di paesi come la Cina, l’Indonesia e l’India, che hanno distanze molto più piccole tra ricchi e poveri, in quanto hanno livelli di emissioni tra i più ricchi molto più modesti.

Naturalmente, il calcolo delle emissioni sulla base dei consumi non ha a che vedere con il calcolo delle emissioni sulla base della produzione. Ovvero, una parte importante di quello che si produce nell’Asia Orientale e in India, in realtà si consuma in Occidente, e spesso lo consumano le classi più ricche dell’Occidente. Di fatto, le classi più ricche della Cina e dell’India consumano prodotti che emettono tonnellate di anidride carbonica non molto superiori o pari a quelle dei più poveri di Italia, Germania e Regno Unito. Questa è la “catena” dell’inquinamento nel mondo: i paesi che ne generano di più sono quelli che ne consumano di meno.

Conclusione: si può affrontare il cambiamento climatico senza affrontare assieme le ineguaglianze tra e nei paesi del mondo, ovvero senza cominciare a ridurre le differenze abissali nella vita degli esseri umani?

Commenta velenosamente Milanovic: “Le persone che amano Greta sono i più grandi emissori – ovvero il mondo prospera sulle contraddizioni”.

 

zzz 3293 – La anidride carbonica cumulata in quasi due secoli.

La tabella è tratta dal sito “No Cold War” e è stata ripubblicata il 6 novembre da Milanovic.

Come abbiamo compreso, il crescente disastro del clima è conseguenza delle emissioni di anidride carbonica che si sono cumulate nel tempo. L’anidride carbonica resta sopra le nostre teste, e sembra ci resti molto a lungo (mentre il metano decade in media in 12,4 anni e il protossido di azoto in 121 anni, una parte dell’anidride carbonica – il 10% di quella emessa – resta in atmosfera per molte decine di migliaia di anni). Dunque, se si dovessero distribuire le colpe, si dovrebbero cumulare gli effetti delle industrializzazioni nei vari paesi per un periodo congruo. La tabella lo indica in 171 anni, dal 1850 (all’incirca l’epoca delle guerre dell’oppio in Cina) al 2021. I segmenti colorati indicano tonnellate di anidride carbonica; ma, si badi, tonnellate procapite.

Dunque, a carico di un cittadino dell’Occidente – un cittadino immaginario campato per circa due secoli – vanno dalle 1.059 tonnelllate di CO2 di un tedesco, alle 1.110 tonnellate di un inglese, alle 1.547 tonnellate di un americano; contro 197 tonnellate di un cinese e 61 tonnellate di un indiano. Poi, ovviamente, bisogna considerare che nell’Indo – Asia risiede più del 60 per cento della popolazione mondiale.

Che è come dire che si può scegliere tra alcune opzioni: 1 – il mondo non sopporta una eguaglianza mondiale sullo stile di vita occidentale, e ci vorrebbe di tornare alle guerre dell’oppio; 2 – l’Occidente deve trovare il modo di ripagare una parte dei guasti che ha prodotto, nell’atmosfera e nelle diseguaglianze globali, o almeno a chiedersi se non ci siano modi per ammettere quel debito; 3 – comunque, Occidente ed Oriente dovrebbero trovare un modo comune per ‘riavvolgere’ sensatamente due secoli di storia. La prima soluzione appare improbabile, la seconda e la terza non si escludono reciprocamente. Ovvero, una nuova ‘guerra fredda’ sarebbe la follia definitiva e non siamo noi occidentali, da soli e d’un tratto, a decidere il momento del Giudizio Universale.                                                                         

 

zzz 3324 – Metà dei profitti delle imprese americane all’estero sono registrati nei paradisi fiscali

Questo diagramma viene da Gabriel Zucman, su Twitter il 13 novembre e mostra l’andamento dei profitti all’estero delle (grandi) società americane. Forse il titolo più appropriato che si potrebbe dargli è: “I 50 anni che hanno cambiato il mondo”.

Mi pare infatti che quello che è impressionante non è la quantità di profitti esteri delle imprese statunitensi, o il loro rapporto con i profitti complessivi, che nel diagramma non si leggono. Quello che è impressionante consiste nella evoluzione tra il 1966 e i nostri giorni. Molti di noi forse nel 1966 non erano ancora nati, per altri, all’epoca adolescenti, erano gli anni della prima incubazione del fatidico 1968. In ogni caso, probabilmente per tutti, non certo un’epoca del passato remoto; più o meno qualcosa che appartiene alla nostra generazione.

Ebbene, siamo passati da un periodo nel quale i profitti registrati nei paradisi fiscali delle società americane erano meno del 5 per cento dei profitti esteri totali, ad un periodo nel quale hanno superato il 50 per cento dei profitti totali. Ancora nel 1978 Irlanda, Svizzera, Olanda e Lussemburgo tutte assieme rappresentavano tra il 2 e il 3 per cento dei paradisi fiscali prediletti dagli americani, oggi sono quasi il 30 per cento.

I profitti registrati all’estero sono quasi per intero una truffa; tutti sanno che non può trattarsi di produzioni realizzate in quei minuscoli paesi. Quindi potremmo considerarlo un diagramma su quanto è cresciuto il potere delle grandi società statunitensi in mezzo secolo; il loro potere nei confronti del sistema fiscale statunitense e il loro potere nell’essere accolte dai sistemi fiscali complici di un certo numero di paesi, europei in primis. Ovvero, quanto è stato rubato allo Stato americano e, in fondo, quanto è stato sottratto alla ricchezza sociale del mondo intero.

Si parla spesso dell’epoca del neoliberismo, ad indicare un periodo di grandi fortune materiali e culturali del capitalismo occidentale, e sembra talora che  si voglia riferirsi ad un episodio  cruciale di una storica “battaglia delle idee”. Poco come l’immagine quel bottino cresciuto di oltre dieci volte, ci dice che, oltre alle idee, è stata l’epoca di una truffa epica.

 

Infine, una meritata menzione  del diagramma sinora più famoso di tutti.  

zzz 337

Negli anni passati Milanovic utilizzò una tabella sulla distribuzione globale dei redditi. Essa suddivideva la popolazione mondiale in ‘percentili’ (da un valore 5 ad un valore 100, dove i valori bassi sono quelli dei non abbienti, mentre quelli alti sono quelli dei molto ricchi). Per un effetto non voluto la storia di decenni finiva con l’assomigliare alla sagoma di un elefante, ogni centimetro del suo corpo corrispondeva ad una categoria globale di reddito. La coda partiva da rasoterra per i più sfortunati, a indicare la povertà senza scampo dei poveri dappertutto; la lunga ‘gobba’ in crescita rappresentava un mondo che viene accogliendo, oltre ai lavoratori dell’Occidente, i nuovi redditi bassi e medi dei paesi indo-asiatici in forte sviluppo; il ‘muso’ dell’animale scendeva in basso a indicare i redditi medi dell’Occidente in calo; la proboscide, lanciata come in un barrito verso l’alto, i redditi degli ultra ricchi – in Occidente ma anche in Oriente e tra i nababbi del petrolio – in vertiginosa crescita. E il paragone era stato ‘inventato’ dai numeri stessi: a nessun economista per quanto fantasioso sarebbe venuto in mente di descrivere l’andamento del mondo con un elefante. Eppure la casualità della invenzione diventava un ottimo modo per proporre finalmente una nuova più appropriata immagine del mondo: prima, magari, ce lo saremmo immaginati, sbagliando, con una piramide egizia. Quel diagramma compiva niente di meno che la magia di rappresentare finalmente il mondo con una immagine sola: qualcosa che i numeri già sapevano, ma che non si trovava le parole per esprimere.

Non è un esempio molto chiaro della potenza del linguaggio per immagini?

 

 

 

 

 

 

 

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