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Su Elon Musk e sul pericoloso potere dei miliardari insicuri, di Paul Krugman (dal blog di Krugman, 2 novembre 2021)

 

Nov. 2, 2021

On Elon Musk and the Dangerous Power of Insecure Billionaires

By Paul Krugman

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Elon Musk doesn’t think visionaries like him should pay taxes the way little people do. After all, why hand over his money to dull bureaucrats? They’ll just squander it on pedestrian schemes like … bailing out Tesla at a crucial point in its development. Musk has his sights set on more important things, like getting humanity to Mars to “preserve the light of consciousness.”

Billionaires, you see, tend to be surrounded by people who tell them how wonderful they are and would never, ever suggest that they’re making fools of themselves.

But don’t you dare make fun of Musk. Billionaires’ money gives them a lot of political clout — enough to block Democratic plans to pay for much-needed social spending with a tax that would have affected only a few hundred people in a nation of more than 300 million. Who knows what they might do if they think people are snickering at them?

Still, the determined and so far successful opposition of incredibly wealthy Americans to any effort to tax them like normal people raises a couple of questions. First, is there anything to their insistence that taxing them would deprive society of their unique contributions? Second, why are people who have more money than anyone can truly enjoy so determined to keep every penny?

On the first question, there’s an enduring claim on the right that taxing billionaires will discourage them from doing all the wonderful things they do. For example, Mitt Romney has suggested that taxing capital gains will cause the ultrawealthy to stop creating jobs and buy ranches and paintings instead.

But is there any reason to believe that taxation will cause the rich to go Galt, and deprive us of their genius?

For the uninitiated, “going Galt” is a reference to Ayn Rand’s “Atlas Shrugged,” in which taxes and regulation induce wealth creators to withdraw to a hidden stronghold, causing economic and social collapse. Rand’s magnum opus was, as it happens, published in 1957, during the long aftermath of the New Deal, when both parties accepted the need for highly progressive taxation, strong antitrust policy and a powerful union movement. The book can therefore in part be seen as a commentary on the America of Harry Truman and Dwight Eisenhower, an era during which corporate taxes were more than twice as high as they are now and the top personal tax rate was 91 percent.

So, did the productive members of society go on strike and paralyze the economy? Hardly. In fact, the postwar years were a time of unprecedented prosperity; family incomes, adjusted for inflation, doubled over the course of a generation.

And in case you’re wondering, the wealthy didn’t manage to dodge all of the taxes being imposed. As a fascinating 1955 Fortune article documented, corporate executives really had come way down in the world compared with their prewar status. But somehow they continued to do their jobs.

OK, so the superrich won’t go on strike if forced to pay some taxes. But why are they so concerned about taxes anyway?

It’s not as if having to cough up, say, $40 billion would have any visible impact on the ability of an Elon Musk or Jeff Bezos to enjoy life’s pleasures. True, many very wealthy people seem to consider moneymaking a game, in which the goal is to outperform their rivals; but standings in that game wouldn’t be affected by a tax all the players have to pay.

What I suspect, although I can’t prove it, is that what really drives someone like Musk is an insecure ego. He wants the world to acknowledge his unequaled greatness; taxing him like a “$400,000-a-year working Wall Street stiff” (my favorite line from the movie “Wall Street”) would suggest that he isn’t a unique treasure, that maybe he indeed doesn’t deserve everything he has.

I don’t know how many people remember “Obama rage,” the furious Wall Street backlash against President Barack Obama. While it was partly a response to real changes in tax and regulatory policy — Obama did, in fact, significantly raise taxes at the top — what really rankled financiers was their sense of having been insulted. Why, he even called some of them fat cats!

Are the very rich pettier than the rest of us? On average, probably yes — after all, they can afford it, and the courtiers and flatterers attracted by huge fortunes surely make it harder to keep one’s perspective.

The important point, however, is that the pettiness of billionaires comes along with vast power. And the result is that all of us end up paying a steep price for their insecurity.

 

Su Elon Musk e sul pericoloso potere dei miliardari insicuri,

di Paul Krugman

 

Elon Musk pensa che i visionari come lui non dovrebbero pagare le tasse come le pagano le persone comuni. Dopo tutto, perché scucire il loro denaro a noiosi burocrati? Loro lo scialacqueranno in operazioni mediocri come … il salvataggio di Tesla in un momento cruciale del suo sviluppo [1]. Musk ha di mira cose più importanti, come portare l’umanità su Marte per “conservare la luce della coscienza”.

Vedete, i miliardari tendono a circondarsi di persone che gli dicono quanto sono meravigliosi e che non gli suggerirebbero, mai e poi mai, che si stanno rendendo ridicoli.

Eppure, non osate prendere in giro Musk. I soldi dei miliardari conferiscono loro un grande prestigio politico – sufficiente a bloccare i programmi dei democratici per finanziare la spesa sociale indispensabile con una tassa che avrebbe interessato poche centinaia di persone in una nazione di trecento milioni di abitanti. Chissà cosa potrebbero fare se pensassero che le persone stanno sogghignando su di loro?

Tuttavia, la determinata e sinora riuscita opposizione degli americani incredibilmente ricchi ad ogni tentativo di tassarli come persone normali solleva un paio di domande. La prima, c’è un qualche fondamento nella loro insistenza che tassarli priverebbe la società dei loro insostituibili contributi? La seconda, perché le persone che hanno più denaro di tutti riescono sinceramente e con tanta determinazione a godere nel tenersi ogni centesimo?

Sulla prima domanda, c’è a destra una pretesa intramontabile secondo la quale tassare i miliardari li scoraggerebbe dal fare tutte le cose magnifiche che fanno. Ad esempio, Mitt Romney ha suggerito che tassare i profitti da capitale comporterebbe che gli ultra ricchi smetterebbero di creare posti di lavoro, acquistando invece villette e dipinti.

Ma c’è qualche ragione per credere che la tassazione spingerebbe i ricchi ad andare con Galt [2] e ci priverebbe del loro genio?

Per i non iniziati, “andare con Galt” è un riferimento alla “Rivolta di Atlante” di Ayn Rand, nel quale le tasse e i regolamenti inducono i creatori di ricchezza a ritirarsi in una fortezza nascosta, provocando il collasso economico e sociale. Il libro principale della Rand, si dà il caso, venne pubblicato nel 1957, durante il lungo periodo successivo al New Deal, quando entrambi i partiti accettavano la necessità di una tassazione altamente progressiva, di una forte politica contro i trust e di un potente movimento sindacale. Il libro di conseguenza può essere considerato come una testimonianza sull’America di Harry Truman e Dwight Eisenhower, un’epoca durante la quale le tasse sulle società erano più del doppio di oggi e le aliquote sulle tasse personali dei più ricchi erano al 91 per cento.

Dunque, i membri produttivi della società andarono in sciopero e paralizzarono l’economia? Niente affatto. In realtà, gli anni postbellici furono un tempo di prosperità senza precedenti; i redditi dele famiglie, corretti per l’inflazione, raddoppiarono nel corso di una generazione.

E, nel caso ve lo stiate chiedendo, i ricchi non riuscivano ad eludere tutte le tasse che venivano imposte. Come documentava un affascinante articolo di Fortune del 1955, i dirigenti delle società dovettero per davvero scendere un bel po’ in basso nel mondo rispetto alla loro condizione nel periodo prebellico. Ma proseguirono comunque a fare il loro lavoro.

Dunque, i super ricchi non andranno in sciopero se saranno costretti a pagare un po’ di tasse. Ma perché sono comunque così preoccupati dalla tasse?

Non dipende dal fatto che dover sborsare, diciamo, 40 miliardi di dollari avrebbe un qualche effetto visibile sulla possibilità degli Elon Musk e degli Jeff Bezos di godere dei piaceri della vita. È vero, molte persone molto ricche sembrano considerino il far soldi come una partita, nella quale l’obbiettivo è avere prestazioni migliori dei loro rivali; ma il loro prestigio in quella partita non sarebbe influenzato da una tassa che tutti i giocatori dovrebbero pagare.

Quello che io sospetto, sebbene non possa addurre prove, è che quello che davvero guida persone come Musk è un ego insicuro. Egli vuole che il mondo riconosca la sua ineguagliata grandezza; tassandolo come  “uno che lavora duramente a Wall Street per 400 mila dollari all’anno” (la mia frase favorita dal film “Wall Street”) indicherebbe che egli non è una fortuna irripetibile, che forse in effetti non merita tutto quello che ha.

Io non so quanti ricordino la “rabbia contro Obama”, la furiosa reazione di Wall Street contro il Presidente Barack Obama. Se essa fu in parte una risposta a cambiamenti reali nella politiche fiscale e dei regolamenti – Obama decise, nei fatti, aumenti significativi delle tasse per i più ricchi – quello che veramente irritò gli uomini della finanza fu la sensazione di essere stati insultati. Ma come, li chiamò persino “gatti grassi” [3]!

Le persone molto ricche sono più meschine di tutti noi? In media, probabilmente sì – dopo tutto, possono permetterselo, e i cortigiani e gli adulatori attratti dalle grandi fortune sicuramente rendono più difficile mantenere i propri nervi saldi.

Il punto importante, tuttavia, è che la meschinità dei miliardari va di pari passo con il loro grande potere. E la conseguenza è che tutti noi finiamo col pagare un prezzo salato per la loro insicurezza.

 

 

 

 

 

[1] Altre volte Krugman ha ricordato – a dire il vero come titolo di merito – che le misure di Obama servarono anche a scongiurare un collasso di Tesla, che da allora ebbe un successo ininterrotto.

[2] Nel libro sacro del libertarismo americano, La rivolta di Atlante di Ayn Rand, Galt è un ingegnere geniale, che intraprende una battaglia libertaria e capitalistica per una assoluta libertà di impresa e contro e regole della burocrazia, che alla fine si materializza in una fuga dalla società allo scopo di convincere tutti di quanto essi perdano dalla scomparsa dei capitalisti liberi di intraprendere. In questo progetto di isolamento, Galt fonda un città – una sorta di avveniristica Atlantide – nella quale vanno a vivere quelli come lui.

[3] Agli inizi della sua Presidenza, Obama definì i grandi magnati della finanza che durante la crisi ricevevano le loro gratifiche “gatti grassi”.

 

 

 

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