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I regolamenti, la produttività e il significato della vita, di Paul Krugman (dal blog di Krugman, 7 febbraio 2023)

 

Feb. 7, 2023

Regulation, Productivity and the Meaning of Life

By Paul Krugman

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A few days ago The Times published a very interesting column by my colleague Ezra Klein about America’s peculiar lack of progress in the art of building things. Drawing on a recent paper by Austan Goolsbee and Chad Syverson, he noted that at least according to official statistics, we’ve gone a half century without any rise whatsoever, and maybe even a decline, in construction productivity — basically the number of person-hours it takes to build a house or other structure of a given size.

What makes this strange is that there have been many technological advances since 1970 that should have made it easier and cheaper to build stuff. But none of these advances seem to have paid off.

Klein suggests that the problem may be overregulation in the broad sense, that there are too many “veto points” where vested interests can block construction unless their demands are met. And he may well be right.

But his discussion had me thinking about a debate in economics that I’m old enough to remember taking place in real time: the attempt to explain the drastic economywide slowdown in productivity growth in the 1970s. This debate had a lot in common with the current discussion of construction productivity. And it also raises some questions about whether productivity is the right measure of economic success.

The Bureau of Labor Statistics has a nice graphic dividing up modern U.S. productivity growth into various eras:

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Productivity has had its ups and downs.

 

Productivity grew rapidly for several decades after World War II, doubling in a generation. Then it slowed drastically for many years. The revival of growth after 1990 — probably driven by information technology — and its more recent stagnation are interesting stories too, but they are not my subject today.

The question is: What happened to productivity during that dip in the 1970s? One popular theory at the time, with some empirical backing, was that at least some of the slowdown reflected increased government regulation. The Environmental Protection Agency came into existence in 1970, and the Occupational Safety and Health Administration in 1971. Both imposed an array of new rules on businesses, and it’s not difficult to imagine that these rules had some adverse impact on worker productivity.

But does that mean that increased regulation was a bad thing? Not necessarily.

In 2020 the Bureau of Labor Statistics released a 50-year retrospective on OSHA, which contains among other things this remarkable chart:

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Work has gotten a lot safer.Credit…Bureau of Labor Statistics

 

It turns out that American workplaces in the early 1970s were very dangerous places by modern standards. And I don’t know about you, but a greatly reduced probability of getting injured or sick on the job seems like progress to me.

It is not, however, progress that shows up in measures of real gross domestic product, and hence in productivity data. So productivity numbers show only the costs, not the benefits, of safety regulations.

The same is true for environmental regulations. On bad days, New York City used to look like this:

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New York in the 1960s.Credit…The New York Times

 

It doesn’t look like that anymore. And the E.P.A. has done systematic studies of the costs and benefits of the Clean Air Act, which find that the benefits, many of them in the form of improved health, have greatly exceeded the costs.

Again, however, the benefits don’t show up in measured productivity, except possibly with a long lag (because healthier workers are presumably more productive).

So part of the productivity slowdown during the 1970s probably represented not so much a loss of dynamism as a shift in priorities — deliberate choices to make workplaces safer and skies cleaner, even at the expense of production.

Were these choices defensible? Definitely yes. Could the policies have been better applied? Of course — but when isn’t that true?

Now, I am quite willing to believe that the trade-offs on construction have been much worse than average, without equivalent social benefits to those 1970s policy choices. The problems with NIMBYism are huge and obvious, and they’re presumably part of a larger picture in which too many interest groups have the power to make construction difficult, even when those projects would be very much in the public interest. Nonetheless, it’s important to realize that making it easier for businesses to do what they want isn’t always a good thing.

And the broader lesson is that measured productivity isn’t the only thing that matters. What, after all, is the economy for? The goal is to improve people’s lives. This is often achieved by increasing gross domestic product per capita, but G.D.P. is an indicator, not an ultimate goal. We could have a bigger economy if we were willing to have filthy air and a lot more injured workers, but that’s not a trade-off we want to make.

 

I regolamenti, la produttività e il significato della vita,

di Paul Krugman

 

Pochi giorni fa il Times pubblicava un articolo molto interessante del mio collega Ezra Klein sulla peculiare mancanza di progressi dell’America nell’arte del costruire. Ispirandosi ad uno studio recente di Austan Goolsbee e Chad Syverson, egli notava che, almeno secondo le statistiche ufficiali, abbiamo passato mezzo secolo senza una crescita di alcun genere, e forse persino con un declino nella produttività dell’edilizia – fondamentalmente il numero di ore per persona che occorrono per costruire una casa o altre strutture di una dimensione data.

Quello che rende strana questa notizia è che ci sono stati molti progressi tecnologici dal 1970 che dovrebbero aver reso più facile e più conveniente costruire cose. Ma nessuno di questi progressi sembra aver ripagato.

Klein suggerisce che il problema potrebbe essere una regolamentazione eccessiva in senso generale, per la quale ci sono troppe “occasioni di veto”, laddove interessi costituiti possono bloccare le costruzioni senza che le loro richieste vengano soddisfatte. Ed egli potrebbe ben avere ragione.

Ma questa discussione mi ha fatto pensare ad un dibattito sull’economia che sono abbastanza anziano per ricordare ebbe luogo in un tempo reale: il tentativo di spiegare il drastico rallentamento della crescita della produttività in tutta l’economia negli anni ’70. Questo dibattito aveva molto in comune con l’attuale discussione sulla produttività dell’edilizia. Ed esso solleva anche alcune domande se la produttività sia la misura giusta del successo economico.

L’Ufficio della Statistiche del Lavoro ha una graziosa tabella che divide la crescita moderna della produttività statunitense in varie epoche:

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La produttività ha i suoi alti e bassi.

 

La produttività crebbe rapidamente per vari decenni dopo la Seconda Guerra Mondiale, raddoppiando in una generazione. La ripresa della crescita dopo il 1990 – probabilmente guidata dalla tecnologia dell’informazione – e la sua più recente stagnazione sono anch’esse storie interessanti, ma non sono il mio tema di oggi.

La domanda è: cosa accadde alla produttività durante quella flessione negli anni ’70? Una teoria a quel tempo popolare, con qualche sostegno empirico, fu che almeno una parte del rallentamento rifletteva la accresciuta regolamentazione da parte dei governi. La Agenzia per la Protezione Ambientale entrò in funzione nel 1970 e la Amministrazione per la Sicurezza e la Salute sui Posti di Lavoro nel 1971. Entrambe imposero una congerie di nuove regole sulle imprese, e non è difficile immaginare che queste regole abbiano avuto qualche impatto negativo sulla produttività dei lavoratori.

Ma questo comporta che l’accresciuta regolamentazione fu una cosa negativa? Non necessariamente.

Nel 2020 l’Ufficio delle Statistiche del Lavoro pubblicò una retrospettiva di 50 anni della organizzazione sulla sicurezza e le malattie sul lavoro, che contiene tra le altre cose questo considerevole diagramma:

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Il lavoro è diventato molto più sicuro. Fonte: Ufficio delle statistiche del Lavoro [1]

 

Si scopre che i luoghi di lavoro nei primi anni ’70 erano posti molto pericolosi per gli standard moderni. E io non so come la pensiate, ma una probabilità grandemente ridotta di subire infortuni o malattie sul posto di lavoro a me sembra un progresso.

Non è, tuttavia, un progresso che compare nelle misurazioni del prodotto interno lordo e quindi nei dati sulla produttività. Dunque i numeri della produttività mostrano solo i costi, non i benefici, dei regolamenti sulla sicurezza.

Lo stesso è vero per i regolamenti ambientali. New York, nei giorni cattivi, appariva di solito in questo modo:

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New York negli anni ‘60. Fonte: The New York Times

 

Non sembra più così. E l‘Agenzia della Protezione Ambientale ha fatto studi sistematici dei costi e dei benefici della Legge sull’Aria Pulita [2], che scoprono che i benefici, molti dei quali nella forma di una salute migliorata, hanno di gran lunga superato i costi.

Ancora una volta, tuttavia, i benefici non appaiono nelle misurazioni della produttività, se non forse con un lungo ritardo (perché i lavoratori più in salute sono presumibilmente più produttivi).

Dunque, una parte del rallentamento della produttività durante gli anni ’70 ha rappresentato non tanto una perdita di dinamismo ma uno spostamento delle priorità – scelte deliberate di rendere i luoghi di lavoro più sicuri ed i cieli più puliti, anche a spese della produzione.

Erano difendibili queste scelte? Certamente sì. Tali politiche potevano essere applicate meglio? È ovvio – ma quando questo non è vero?

Ora, io sono abbastanza disponibile a credere che gli scambi nell’edilizia siano stati molto peggiori che nella media, senza equivalenti benefici sociali rispetto a quelle scelte politiche degli anni ’70. Sono grandi ed evidenti i problemi con il “nimbismo” [3], e fanno presumibilmente parte di un quadro più ampio nel quale troppi gruppi di interesse hanno il potere di creare difficoltà alle costruzioni, persino quando quei progetti sarebbero molto nell’interesse pubblico. Ciononostante, è importante comprendere che facilitare le imprese nel fare quello che vogliono non è sempre una buona cosa.

E la lezione più generale è che la produttività misurata non è l’unica cosa che conta. L’obbiettivo è migliorare la vita delle persone. Questo spesso si ottiene aumentando il prodotto interno lordo procapite, ma il PIL è solo un indicatore, non l’obbiettivo definitivo. Si potrebbe avere un’economia più grande se volessimo avere un’aria schifosa e molti più lavoratori infortunati, ma non è quello lo scambio che ci interessa.  

 

 

 

 

 

 

[1] La Tabella mostra i tassi di incidenza degli incidenti e delle malattie sui luoghi di lavoro ‘non mortali’ nel periodo dal 1972 al 2017. Suppongo che i tassi di incidenza siano nel rapporto con il complesso degli incidenti e delle malattie non mortali …..

[2] La Legge sull’Aria Pulita statunitense, che risale alla metà degli anni ’50, ha avuto varie modifiche e miglioramenti nel corso del tempo. Alcuni importanti miglioramenti avvennero nel 1970, con l’effetto soprattutto di aumentare il potere del Governo Federale nella definizione dei regolamenti, dei limiti e delle tecniche di controllo.

[3] “Nimbismo” è il sostantivo che deriva da “Nimby”, un acronimo di “Not in my backyard”, ovvero: “Non nel giardino di casa mia”. E’ un movimento, o forse meglio un sentimento diffuso nella popolazione statunitense, che di solito contesta varie scelte di localizzazione di impianti (strade, autostrade, impianti per lo smaltimento dei rifiuti, depuratori) e residenze, giudicati “utili ma altrove”. Si ritiene che questa diffusa contrarietà abbia spesso un certo effetto nel determinare difficoltà all’insediamento di abitazioni, e in effetti la carenza di residenze ha ormai assunto in alcuni Stati (come  California) aspetti molto evidenti. Il fenomeno presenta varianti significative, a seconda dei cittadini interessati; ad esempio è diffuso nelle aree delle residenze delle classi medio alte, dove ci si oppone all’insediamento di quartieri popolari e più alti delle normali villette.

 

 

 

 

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