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Un test di realtà per il renminbi, di Shang-Jin Wei (da Project Syndicate, 6 aprile 2023)

 

Apr 6, 2023

A Reality Check for the Renminbi

SHANG-JIN WEI

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NEW YORK – After years of speculation and false starts, it seems that the internationalization of the renminbi is well underway. On March 29, China and Brazil announced plans to trade using their own currencies, rather than the US dollar. The day before, the China National Offshore Oil Corporation and France’s TotalEnergies completed their first-ever renminbi-denominated liquefied natural gas trade. Russian President Vladimir Putin recently said that he wants to use the Chinese currency not just for trading with China but also as a form of payment in trade with other countries in Asia, Africa, and Latin America. And Saudi Arabia has been in talks with China since last year about accepting payments for some oil exports in renminbi.

It is no secret that China would like to convert the renminbi into an international currency and move away from the global dominance of the US dollar. While this is often interpreted as a geopolitical move, a way to insulate China from possible US-led economic sanctions in the future, transforming the renminbi into one of the world’s leading settlement currencies would also greatly benefit the Chinese economy. Moreover, it would help protect the country from an exchange-rate crisis, which is why other countries, including India and ASEAN countries, are trying to internationalize their currencies, too.

The figure below, based on ongoing research by my co-authors and me, illustrates the progress that China has made in its efforts to internationalize the renminbi. The red line traces South Korean firms’ renminbi-denominated exports as a share of its total exports to China between 2006 and 2020, showing the Chinese currency’s share rising from 0% before 2008 to nearly 6% by 2020. In October 2016, the renminbi became part of the basket of currencies underpinning the International Monetary Fund’s reserve asset, special drawing rights, joining an exclusive club alongside the dollar, the euro, the yen, and the British pound.

While these are impressive milestones, one should not exaggerate the degree to which the renminbi is encroaching on the greenback’s position. As the figure shows, the US dollar’s share of South Korean exports to China declined from nearly 98% in 2006 to roughly 87% in 2020. In other words, the dollar has gone from overwhelmingly dominant to slightly less dominant. Even in China-South Korea bilateral trade, the renminbi is not even close to displacing the dollar.

renminbi

Moreover, roughly 99% of South Korean exports to the United States during the same period were denominated in dollars; none were denominated in renminbi. By contrast, the dollar’s share of South Korean exports to Japan was 45%, about equal to that of the yen, with the won and the euro accounting for the rest. In other words, the US dollar continues to dominate global trade, including bilateral trade not involving the US, while the renminbi is essentially used only in transactions involving China.

Part of the reason for the greenback’s continued preeminence is that, in addition to its status as a trading power, the US has very large and liquid capital markets where foreign investors can park their dollar-denominated assets. Because of its capital controls, China’s domestic financial market is far less liquid, making the renminbi unattractive to international investors.

Theoretically, China could raise the renminbi’s global profile by loosening capital controls. But doing so could come at significant cost, exposing the Chinese economy to the (often negative) consequences of US interest-rate movements and global financial cycles. Moreover, premature capital-account liberalization could exacerbate existing distortions within China’s financial system, where domestic savings are not always channeled to the most productive firms. The Chinese authorities are keenly aware of these risks, which is why they have been prioritizing financial stability over renminbi internationalization.

There are, however, other ways to promote the renminbi. A series of currency swap agreements between the People’s Bank of China and its counterparts in other countries, for example, could help make the renminbi less risky for international firms and investors.

In addition, a digital renminbi could facilitate partial capital-account liberalization without formally removing capital controls. By removing the anonymity of foreign investors, a digital renminbi would allow the PBOC to limit cross-border financial transactions to less volatile types and more conveniently activate a circuit-breaker when needed. Being able to separate inflows of “hot money” from more stable types of foreign investment could convince the central bank to relax some capital controls and allow financial capital to flow more freely.

In sum, while China has achieved notable progress toward making the renminbi a global reserve currency, it is still far from reaching its goal. While it could use a digital currency to deliver de facto partial capital-account liberalization, it will not undermine the dollar’s hegemony without going much further in loosening capital controls.

 

Un test di realtà per il renminbi,

di Shang-Jin Wei

 

NEW YORK – Dopo anni di congetture e di false partenze, sembra che l’internazionalizzazione del renminbi sia effettivamente in corso. Il 29 marzo, la Cina e il Brasile hanno annunciato programmi per utilizzare le loro valute nei commerci, anziché il dollaro statunitense. Il giorno prima, la Società Petrolifera Nazionale Cinese all’estero e la TotalEnergies francese hanno completato il loro primo scambio di sempre denominato in renminbi in gas naturale liquefatto. Il Presidente russo Vladimir Putin ha recentemente affermato di voler usare la valuta cinese non solo per gli scambi con la Cina ma anche come forma di pagamento negli scambi con altri paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina. E l’Arabia Saudita sin dall’anno passato ha colloqui con la Cina sulla accettazione di pagamenti in renminbi per alcune esportazioni petrolifere.

Non è un segreto che alla Cina farebbe piacere convertire il renminbi in una valuta internazionale e venir fuori dal dominio globale del dollaro statunitense. Mentre questa viene spesso interpretata come una mossa geopolitica, un modo per isolare la Cina da possibili sanzioni economiche guidate dagli Stati Uniti nel futuro, la trasformazione del renminbi in una delle principali valute di liquidazione del mondo sarebbe anche di grande beneficio per l’economia cinese. Inoltre, ciò contribuirebbe a proteggere il paese da una crisi del tasso di cambio, che è la ragione per la quale anche altri paesi, compresa l’India ed i paesi dell’ASEAN, stanno cercando di internazionalizzare le loro valute.

La tabella sotto, basata su una ricerca in corso da parte dei miei coautori e del sottoscritto, illustra il progresso che la Cina ha fatto nei suoi sforzi per internazionalizzate il renminbi. La linea rossa traccia le esportazioni delle imprese della Corea del Sud con la Cina denominate il renminbi tra il 2006 ed il 2020, mostrando una crescita della valuta cinese dallo 0% prima del 2008 a circa il 6% nel 2020. Nell’ottobre del 2016, il renminbi è divenuto parte del paniere di valute che sostengono gli asset della riserva del Fondo Monetario Internazionale, i diritti speciali di prelievo, aggiungendosi al club esclusivo assieme al dollaro, all’euro, allo yen ed alla sterlina inglese.

Se questi sono traguardi impressionanti, non si dovrebbe esagerare la misura nella quale il renminbi sta invadendo la posizione del dollaro. Come mostra la tabella, la quota del dollaro statunitense nelle esportazioni sud coreane alla Cina è calata da quasi il 98% nel 2006 a circa l’87% nel 2020. In altre parole, il dollaro è passato da un dominio schiacciante ad un dominio leggermente inferiore. Persino nel commercio bilaterale tra Cina e Corea del Sud, il renminbi non è neppure vicino a sostituire il dollaro.

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Inoltre, circa il 99% delle esportazioni sud coreane negli Stati Uniti nello stesso periodo venivano denominate in dollari; nessuna era denominata in renminbi. All’opposto, la quota del dollaro nelle esportazioni sud coreane al Giappone era il 45%, quasi uguale a quella dello yen, con il won e l’euro che rappresentavano il restante. In altre parole, il dollaro statunitense continua a dominare il commercio globale, compreso il commercio bilaterale che non riguarda gli Stati Uniti, mentre il renminbi viene essenzialmente utilizzato soltanto nelle transazioni che riguardano la Cina.

In parte la ragione della perdurante preminenza del dollaro è che, in aggiunta al suo status di potenza commerciale, gli Stati Uniti hanno mercati dei capitali molto grandi e liquidi dove gli investitori stranieri possono parcheggiare i loro asset denominati in dollari. A causa dei suoi controlli dei capitali, il mercato finanziario interno della Cina è molto meno liquido, il che rende il renminbi non attrattivo per gli investitori internazionali.

In teoria, la Cina potrebbe accrescere il profilo globale del renminbi attenuando i controlli sui capitali. Ma farlo potrebbe comportare un costo significativo, esponendo l’economia cinese alle conseguenze (spesso negative) dei movimenti del tasso di interesse statunitense ed ai cicli finanziari globali. Inoltre, una liberalizzazione prematura del conto capitale delle imprese potrebbe esacerbare le distorsioni esistenti all’interno del sistema finanziario della Cina, dove i risparmi nazionali non sono sempre incanalati verso le imprese più produttive. Le autorità cinesi sono ben consapevoli di questi rischi, e quella è la ragione per la quale vengono dando priorità alla stabilità finanziaria sulla internazionalizzazione derl renminbi.

Ci sono, tuttavia, altri modi per promuovere il renminbi. Una serie di accordi valutari di scambio tra la Banca del Popolo della Cina (PBOC) e le sue controparti in altri paesi, ad esempio, potrebbe contribuire a rendere il renminbi meno rischioso per le imprese e gli investitori internazionali.

In aggiunta, un renminbi digitale potrebbe facilitare una parziale liberalizzazione del conto capitale senza formalmente rimuovere i controlli sui capitali. Rimuovendo l’anonimato degli investitori stranieri, un renminbi digitale consentirebbe alla PBOC di limitare le transazioni finanziarie sovranazionali alle categorie meno volatili ed attivare più convenientemente, quando necessario, una interruzione dei circuiti. La possibilità di separare i flussi in ingresso di “denaro vagante” dalle categorie più stabili di investimento estero,  potrebbe convincere la banca centrale ad attenuare alcuni controlli dei capitali e consentire al capitale finanziario di fluire più liberamente.

In conclusione, mentre la Cina ha realizzato un progresso notevole nel rendere il renminbi una valuta della riserva globale, essa è lungi dal raggiungere il suo obbiettivo. Essa potrebbe utilizzare una valuta digitale per realizzare di fatto una parziale liberalizzazione del conto capitale, ma non metterà a repentaglio l’egemonia del dollaro senza andare molto oltre nell’attenuare i controllo dei capitali.

 

 

 

 

 

 

 

 

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