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La strada di un ritorno alla crescita della Cina, di Yu Yongdin (da Project Syndicate, 9 maggio 2023)

 

May 9, 2023

The Road Back to Growth in China

YU YONGDING

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BEIJING – According to China’s National Bureau of Statistics, the economy grew by 4.5% year on year in the first quarter of 2023. While that hardly matches the robust growth of the pre-pandemic period, it did exceed market expectations. And with the right policies, China can do even better.

There is plenty of pessimism about China’s economic prospects nowadays, with many warning – not without reason – that China has entered a deflationary period. In the first quarter of 2023, China’s consumer price index (CPI) rose by only 1.3% year on year – down from 1.8% in the previous quarter. More striking, China’s producer price index (PPI) fell by 2.5% year on year in March – its sixth consecutive month of decline.

This is not a new trend. In fact, China’s PPI has been negative for the better part of the last decade. Beginning in March 2012, China’s PPI was in negative territory for 54 consecutive months. In January 2019, it turned negative again – and remained so for 17 months. While CPI has remained positive, it has grown by less than 2% annually, on average, for a decade.

While claims that China has entered a deflationary period are excessive, the data indicate that China’s economy continues to be hamstrung by low effective demand. Official figures also support the claim that China’s GDP growth has been below potential for some time.

This may not have been surprising when the zero-COVID policy was triggering regular lockdowns, including in economic hubs like Shanghai. But the abandonment of strict pandemic-containment policies in December was widely expected to unleash pent-up demand, leading to a robust recovery. Some even warned that inflation could spike, as supply struggled to keep up.

None of this came to pass. Non-economic factors – linked, for example, to global geopolitical tensions – bear some of the blame. But, in my view, one of the most important reasons for China’s weaker-than-expected economic performance since December is the government’s overly cautious approach to macroeconomic policy, particularly fiscal policy.

China’s government has set a growth target of “around 5%” for 2023. For an economy that grew by 6.7%, 6%, 2.2%, and 8.1% in 2018-21, that is simply too low. A better approach would aim for 6% growth – an entirely feasible target, given China’s recent performance. While the government’s reluctance to aim for a higher growth rate is understandable, a conservative target can create a self-fulfilling prophecy, by weakening confidence and failing to exploit growth potential fully.

Some policy interventions, such as cash transfers, would provide a direct and immediate boost to consumption, which accounted for 54.3% of GDP in 2021 and had been the main contributor to GDP growth for years before 2022. But, as China’s government well knows, consumption is a function of income; a sustained, broad-based increase in incomes depends on economic growth; and infrastructure investment is traditionally the state’s most effective instrument for boosting growth when effective demand is weak. Despite past investments, China still has a large infrastructure gap that urgently needs to be closed.

There are risks to this approach. As China learned when it implemented a CN¥4 trillion ($578 billion) stimulus package during the 2008 global economic crisis, large-scale public investment in infrastructure can lead to an increase in local-government debts, ultimately undermining financial stability.

But rather than discourage state-led infrastructure investment, this experience should motivate policymakers to engage in more careful planning that avoids creating additional “white elephants.” It should also spur changes to how the government finances its investments.

China’s authorities have historically been very reluctant to run budget deficits. As a result, the vast majority of funding for past infrastructure investments has been raised by local governments on capital markets at high interest rates. Spending by the central government accounted for perhaps less than 1% of total infrastructure investment in 2021. Small wonder local governments are weighed down by debt.

For the next round of infrastructure investment, the central government should contribute a significantly larger share of funding. At the same time, it should step in to help local governments resolve their debt problems. This will require the central government both to increase its budget deficit (as a share of GDP) and to sell more government bonds to the public in 2023.

Barring a “black swan” event, China can achieve 6% GDP growth this year, thereby ending a 12-year slowdown. But this will not happen on its own. Carefully planned and prudently funded infrastructure investment, supported by expansionary fiscal policy, is essential.

 

La strada di un ritorno alla crescita della Cina,

di Yu Yongdin

 

PECHINO – Secondo l’Ufficio Nazionale di Statistica della Cina, nel primo trimestre del 2023 l’economia è cresciuta del 4,5% su base annua. Se ciò difficilmente eguaglia la solida crescita del periodo prepandemico, ha di certo superato le aspettative di mercato. E con politiche giuste, la Cina può anche far meglio.

In questi tempi, c’è una gran quantità di pessimismo sulle prospettive economiche della Cina, con molti che mettono in guardia – non senza ragione – che la Cina è entrata in un periodo deflazionistico. Nel primo trimestre del 2023, l’indice cinese dei prezzi al consumo (CPI) è cresciuto soltanto dell’1,3% su base annua – in diminuzione rispetto all’1,8% del trimestre precedente. Ancora più impressionante, a marzo l’indice cinese dei prezzi alla produzione (PPI) è calato del 2,5% su base annua – il suo sesto mese consecutivo di declino.

Questa non è una tendenza nuova. L’indice dei prezzi alla produzione  della Cina è stato negativo per gran parte dell’ultimo decennio. A partire dal marzo del 2012, l’indice dei prezzi alla produzione cinese è stato in territorio negativo per 54 mesi consecutivi. Nel gennaio del 2019, esso è tornato negativo – e tale è rimasto per 17 mesi. Mentre l’indice dei prezzi al consumo rimaneva positivo, esso è cresciuto in media annualmente meno del 2%, per un decennio.

Mentre gli argomenti secondo i quali la Cina è entrata in un periodo deflazionistico sono eccessivi, i dati indicano che l’economia cinese continua ad essere ostacolata da una bassa domanda effettiva. Anche i dati ufficiali sostengono la tesi secondo la quale la crescita del PIL della Cina è stata per un certo tempo al di sotto del suo potenziale.

Questo può non esser stato sorprendente quando la politica dello zero-Covid veniva innescando regolari lockdown, compresi centri economici come Shanghai. Ma ci si aspettava generalmente che l’abbandono a dicembre delle severe politiche di contenimento della pandemia liberasse la domanda repressa, portando ad un solida ripresa. Alcuni persino mettevano in guardia che l’inflazione avrebbe potuto impennarsi, allorché l’offerta avesse fatto fatica a tenere il passo.

Non è accaduto niente del genere. Fattori non economici – connessi, ad esempio, con le tensioni geopolitiche globali – ne portano una parte della responsabilità. Ma, a mio avviso, una delle ragioni più importanti della prestazione economica cinese più debole del previsto, è l’approccio eccessivamente cauto del Governo alla politica macroeconomica, in particolare alla politica della finanza pubblica.

Il Governo cinese ha fissato per il 2023 un obbiettivo di crescita di “circa il 5%”. Per un’economia che era cresciuta del 6,7%, del 6%, del 2,2% e dell’8,1% nel periodo 2018-21, questo è semplicemente troppo basso. Un approccio migliore punterebbe ad una crescita del 6% – un obbiettivo interamente fattibile, dati gli andamenti recenti della Cina. Mentre la riluttanza del Governo a mirare ad una tasso di crescita più elevato è comprensibile, un obbiettivo conservatore può determinare una profezia che si auto avvera, indebolendo la fiducia e non riuscendo a sfruttare interamente il potenziale di crescita.

Alcuni interventi politici, come trasferimenti di cassa, fornirebbero un aiuto diretto ed immediato al consumo, che pesava per il 54,3% del PIL nel 2021 ed era stato il contributo principale alla crescita del PIL per anni, prima del 2022. Ma, come il Governo cinese ben sa, il consumo è una funzione del reddito; un aumento prolungato, su ampie base dei redditi dipende dalla crescita economica e gli investimenti in infrastrutture sono lo strumento tradizionalmente più efficace dello Stato per sostenere la crescita quando la domanda è debole. Nonostante gli investimenti passati, la Cina ha ancora un ampio deficit infrastrutturale che ha bisogno urgentemente di chiudere.

In questo approccio ci sono rischi. Come la Cina ha imparato quando mise in atto un pacchetto di investimenti di 4 mila miliardi di yuan (578 miliardi di dollari) durante la crisi economica globale del 2008, investimenti pubblici su larga scala nelle infrastrutture possono portare ad un aumento dei debiti dei governi locali, in ultima analisi compromettendo la stabilità finanziaria.

Ma piuttosto che scoraggiare investimenti infrastrutturali guidati dallo Stato, questa esperienza dovrebbe motivare i dirigenti politici a impegnarsi in una pianificazione più scrupolosa che eviti di generare nuovi “elefanti bianchi”. Essa dovrebbe anche stimolare cambiamenti nei modi nei quali il Governo finanzia i suoi investimenti.

La autorità centrali cinesi sono storicamente state molto riluttanti a gestire deficit di bilancio. Come risultato, la grande maggioranza del finanziamento degli investimenti infrastrutturali del passato è stata raccolta dai governi locali sui mercati dei capitali ad alti tassi di interesse. La spesa da parte del Governo centrale ha pesato forse per meno dell’1% degli investimenti totali nelle infrastrutture nel 2021. Non meraviglia che i governi locali siano appesantiti dai debiti.

Per la prossima serie degli investimenti in infrastrutture, il Governo centrale dovrebbe contribuire con una quota significativamente maggiore dei finanziamenti. Nello stesso tempo, esso dovrebbe farsi avanti per aiutare i governi locali a risolvere i loro problemi di debito. Questo richiederà sia che il Governo centrale aumenti il suo deficit di bilancio (come quota del PIL), sia che venda più obbligazioni governative al pubblico nel 2023.

A meno di un evento da “cigno nero”, la Cina può realizzare quest’anno una crescita del PIL del 6%, in tal modo ponendo termine ad un rallentamento che dura da 12 anni. Ma questo non avverrà da solo. Investimenti infrastrutturali scrupolosamente pianificati e prudentemente finanziati, sostenuti da una politica della finanza pubblica espansiva, saranno essenziali.

 

 

 

 

 

 

 

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