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Confronti tra la crescita dell’inflazione statunitense ed europea nel 2022, di Adam Tooze (da Chartbook 217, 1 giugno 2023)

 

June 1, 2023  

Chartbook 217 The inflationary surge of 2022 – trans-Altantic comparisons and European hotspots.

Adam Tooze

 

zzz 417In the US the obsession with the inflation, the Fed, interest rates and financial stability has been displaced from the headlines by an overriding preoccupation with fiscal policy. In the brief interval between the two, Janet Yellen and Jake Sullivan brought the world up to speed on the parameters of what is being dubbed the “new Washington consensus”. More from me on this kaleidoscopic alternation in the FT at the weekend.

Meanwhile, in Europe, the debate about inflation goes on. Culling recent speeches by Philip Lane and Isabel Schnabel results in an interesting composite picture of the distinctive features of both the European and American inflations.

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Source: ECB

The surge of European inflation past the US peak of 8 percent is largely attributable to the more painful surge in both energy and food prices in Europe.

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In the US, by contrast, the acceleration of services inflation has come to dominated the story.

The surge in the prices of imported energy and food inflicted a terms of trade shock on the European economy to the tune of 2 percent of GDP. The impact on the US which is a major exporter of both food and energy was broadly neutral.

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Overwhelmingly this terms of trade shock came from energy.

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Source: ECB

There is a striking difference between Europe and the US also with regard to the fiscal response to the succession of shocks that hit the world economy between 2020 and 2022. The US fiscal response to COVID was more generous but also contracted more sharply, whereas under the impact of the Ukraine war, the fiscal taps in Europe have remained open.

Whereas the European economy has barely recovered above its 2019 level, the US has clocked up a solid 5 percent growth, driven by a considerable surge in private consumption and particularly the private consumption of goods.

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Both in the US and the EU, the recovery from the 2020 shock has produced a strikingly low level of unemployment. But whereas in the EU labour market participation is somewhat higher today than one might have expected on the basis of pre-crisis trends, the US has seen a retreat from the workforce both of younger and older works.

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( … )

In both the US and Europe labour market tightness has led to a considerable acceleration in the growth in nominal wages.

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In both cases, nominal wages have struggled to keep up with prices. As a result, if one accepts a cost-push model of pricing, rising unit labour costs can account only for a share of the price increases.

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In a striking turn in the public argument, the ECB is willing to credit surging profit margins in Europe with a larger share of inflationary pressure than wages. In the United States, at least according to the ECB’s methodology the lion’s share of cost pressure comes from the size of unit labour costs.

( … )

 

Confronti tra la crescita dell’inflazione statunitense ed europea nel 2022 (da Chartbook 217),

di Adam Tooze

 

Negli Stati Uniti, l’ossessione per l’inflazione, i tassi di interesse e la stabilità finanziaria è stata sostituita sui titoli dei giornali da una crescente preoccupazione per la politica della finanza pubblica [1]. Nel breve intervallo tra le due, Janet Yellen e Jake Sullivan hanno aggiornato il mondo sui parametri di quello che viene soprannominato “nuovo Washington Consensus”. Scriverò di più su questa caleidoscopica alternanza sul Financial Times nel fine settimana.

Nel frattempo, in Europa il dibattito sull’inflazione va avanti. Una selezione di interventi recenti di Philip Lane e Isabel Schnabel [2] dà origine ad un interessante quadro composito delle caratteristiche distintive delle inflazioni, sia europea che americana.

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Fonte: BCE [3]

La crescita dell’inflazione europea dopo il picco dell’8 per cento di quella statunitense [4] è in gran parte attribuibile alla crescita più dolorosa sia del prezzi dell’energia che dei generi alimentari in Europa.

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[5]

Negli Stati Uniti, all’opposto, l’accelerazione della inflazione nei servizi ha dominato il racconto.

La crescita nei prezzi dell’energia importata e dei generi alimentari ha inflitto uno shock ai termini di scambio sull’economia europea delle dimensioni del 2 per cento del PIL. L’impatto sugli Stati Uniti, che sono un esportatore importante sia di generi alimentari che di energia, è stato in generale neutrale.

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[6]

In modo nettamente prevalente, questo shock ai termini di scambio è venuto dell’energia.

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Fonte: BCE [7]

C’è un differenza impressionante tra l’Europa e gli Stati Uniti anche riguardo alla risposta delle finanza pubblica alla successione di shock che ha colpito l’economia mondiale tra il 2000 ed il 2022. La risposta di finanza pubblica statunitense al Covid è stata più generosa e si è contratta più bruscamente, mentre sotto l’impatto della guerra ucraina, i rubinetti della finanza pubblica in Europa sono rimasti aperti.

Mentre l’economia europea si è appena ripresa sopra il suo livello del 2019, gli Stati Uniti hanno segnato una solida crescita del 5 per cento, guidata da una crescita considerevole nei consumi privati e in particolare nei consumi privati di prodotti.

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[8]

Sia negli Stati Uniti che nell’UE, la ripresa dallo shock del 2020 ha prodotto un livello di disoccupazione sorprendentemente basso. Ma laddove la partecipazione al mercato del lavoro nell’UE è in qualche modo più ampia oggi di quanto ci si poteva aspettare sulla base delle tendenze precedenti alla crisi, gli Stati Uniti banno conosciuto una ritirata dalla forza lavoro sia dei lavoratori più giovani che di quelli più anziani.

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[9]

( … )

Sia negli Stati Uniti che in Europa, la rigidità del mercato del lavoro ha portato ad una considerevole accelerazione della crescita dei salari nominali.

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In entrambi i casi, i salari nominali hanno faticato a tenere il passo con i prezzi. Come conseguenza, se si accetta un modello di definizione dei prezzi sulla spinta dei costi, i costi crescenti per unità di lavoro possono pesare soltanto per un quota degli incrementi dei prezzi.

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[10]

Con un virata impressionante della spiegazione pubblica, la BCE è disponibile ad accreditare margini in crescita dei profitti in Europa con una quota più elevata dei salari nella spinta inflazionistica. Negli Stati Uniti, almeno secondo la metodologia della BCE, la parte del leone nella pressione dei costi viene dalla dimensione dei costi per unità di lavoro.

( … )

 

 

 

 

 

 

 

[1] Suppongo che si riferisca alla vicenda del “tetto del debito” (l’articolo è del primo di giugno, ma seppure in ritardo ci è parso interessante – quasi unico – per l’analisi delle differenze dei due fenomeni inflattivi).

[2] Entrambi membri del Comitato Esecutivo della Banca Centrale Europea.

[3] Le due tabelle mostrano come l’inflazione “complessiva” abbia cominciato a scendere (tabella di sinistra, Europa con la linea blu e USA con quella gialla), mentre l’inflazione cosiddetta “sostanziale” (“core”) nella tabella di destra si mostra più “vischiosa” (“sticky”). Ormai abbiamo appreso che la prima inflazione è quella che deriva dagli indici generali dei prezzi, mentre la seconda è quella ‘depurata’ dei prezzi più volatili dell’energia e dei generi alimentari.

[4] Il riferimento è ovviamente alla tabella di sinistra, dell’inflazione ‘complessiva’, proprio perché il fenomeno si spiega con l’andamento dei prezzi energetici ed alimentari, che sono esclusi nella tabella di destra. La maggiore crescita europea si colloca nella seconda metà del 2022, quando l’inflazione statunitense ha cominciato a scendere, mentre quella europea è arrivata a superare il 10 per cento, su base annua.

[5] Queste due tabelle sono un dettaglio delle due precedenti; a destra l’area Euro, a sinistra gli Stati Uniti. I vari colori mostrano gli andamenti dei prezzi di generi alimentari (giallo), energia (rosso), servizi (verde). La linea nera mostra l’andamento complessivo dell’indice dei prezzi . La colorazione celeste, invece, indica due parametri che non credo indichino la stessa cosa: per l’Europa, il NEIG, che è la somma delle componenti dell’inflazione provocate dalla domanda, dall’offerta e da fattori incerti (ed è un parametro utilizzato dalla Banca Centrale Europea); per gli USA i “Prodotti”, che dovrebbero essere il complesso dei beni, esclusi quelli degli alimenti, dell’energia e dei servizi.

[6] Nella illustrazione del testo dell’articolo di Tooze, quello che è qua attinente è la tabella di sinistra, che mostra gli effetti sul reddito dello shock nei termini di scambio (Europa in blu e USA in rosso). La tabella di destra, invece, è attinente al tema che Tooze esamina subito dopo, e che riguarda le diverse risposte europea ed americana (blu e gialla) alla pandemia ed alla crisi energetica.

[7] Questa tabella, assai interessante, mostra, in riferimento alla sola Europa, gli effetti sul reddito (ovvero sul PIL) della variazioni dei termini di scambio e dei guadagni e delle perdite derivanti dall’inflazione nell’energia. Come si vede, le componenti non-energetiche (rosso) hanno avuto una influenza minima, mentre le componenti energetiche sono state decisive.

[8] La tabella mostra le componenti del PIL reale dell’area euro (a sinistra) e degli Stati Uniti (a destra). Come si vede la differenza fondamentale è nel consumo privato dei prodotti (linea rossa), che nel periodo giugno 2020- 2021 e 2022 negli Stati Uniti si impenna. Parrebbe la manifestazione di quel fenomeno sul quale in molti hanno insistito, la sostituzione in epoca pandemica di consumi in servizi con consumi in prodotti (il reiterato esempio di Krugman della Cyclette al posto della palestra), ma resta da spiegare perché quel fenomeno sia stato notevolmente più marcato negli USA, e perché abbia resistito così tanto.

[9] Nella tabella di sinistra l’andamento della disoccupazione in Europa (blu) e negli USA (giallo). È evidente che il picco di disoccupazione americana nell’anno pandemico 2020-21 è dipeso dal fatto che la quasi assenza di ammortizzatori come la cassa integrazione ha costretto ad un piena registrazione delle assenze dal lavoro, che in quel caso hanno praticamente coinciso con i licenziamenti.

Nella tabella di destra, i tassi di partecipazione alla forza lavoro. Sull’asse verticale dovrebbero essere indicate le percentuali della partecipazione alla forza lavoro. Il divario storico tra le due realtà, a seguito dei sistemi previdenziali e delle abitudini, dal 2009 al 2023 si è fortemente ridotto, forse per una riduzione della quota dei lavoratori più anziani statunitensi (e solo di una lieve crescita dei lavoratori anziani europei). Ma potrei sbagliare.

[10] Il deflatore del PIL è uno strumento che consente di “depurare” la crescita del PIL dall’aumento dei prezzi (ovvero dall’inflazione). Quindi le due tabelle in pratica stabiliscono quanto i singoli fattori – profitti (rosso), tasse (verde), costi del lavoro (giallo) – hanno percentualmente contribuito a determinare la crescita del PIL con i relativi aumenti dei valori. I calcoli sono di fonte BCE. Nell’anno 2022, dunque, secondo la BCE, in Europa il fattore principale è stato l’aumento dei profitti e delle tasse, accompagnato nella seconda parte del 2022 dall’aumento dei costi del lavoro,  mentre negli Stati Uniti il fattore principale sarebbe sempre stato quello dei costi del lavoro.

 

 

 

 

 

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