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Una o due frasi, o citazioni dirette degli economisti studiati, da ciascuno dei sette capitoli del Libro “Visioni dell’ineguaglianza”. Di Branko Milanovic (da Twitter, 27 ottobre 2023)

 

 

 One or two sentences, or direct quotes of economists studied, from each of the 7 chapters of Visions of Inequality.”

Branko Milanovic

 

Branko Visioni

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1 – We start with Quesnay.

Visioni 1

2 – Continue with Smith’s scathing view of colonialism.

Visioni 2

3- Do not forget Ricardo (notice the last sentence: lower prices of luxuries have no effect on nominal or real wage):

Visioni 3

4 – Now for Marx’s lack of interest in equality under capitalism:

Visioni 4

5 – Pareto chips in praising socialists:

Visioni 5

6 – Kuznets wants broader economics:

Visioni 6

7 – Stalin rails against rampant egalitarianism:

Visioni 7

8 – There are three socialist equalities. Today, we think only of the first.

Visioni 8

9 – And then the neoclassical decline sets in. They become “Cold War” economics.

Visioni 9

10 – Their world may at best approximate decision-making process of less than 1% of world population. Thus it has nothing to do with income distribution.

Visioni 10

11 – Finally, they create a Martian world here on the Earth.

Visioni 11

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una o due frasi, o citazioni dirette degli economisti studiati, da ciascuno dei sette capitoli del Libro “Visioni dell’ineguaglianza”.

Di Branko Milanovic [1]

1 – Cominciamo con Quesnay:

Coerenti con le loro preoccupazioni per l’agricoltura, i fisiocratici ostentarono un forte pregiudizio anti-urbano, a volte appena frammisto con un malcelato disprezzo nei confronti della grossolanità cittadina. Era una tendenza piuttosto strana, considerato che i loro scritti erano indirizzati ai literati urbani o alla Corte, l’elite della società francese (per quanto alcuni dei suoi membri avrebbero preferito immaginarsi “rurali”, con Versailles che serviva come una sorta di versione simile a Disneyland della campagna francese).

2 – Continuiamo con il feroce punto di vista di Smith sul colonialismo.

… il paese venne come inghiottito da un terremoto.” L’esame delle pratiche coloniali europee copre più che un centinaio di pagine nel IV Libro della Ricchezza delle nazioni (cioè circa l’8 per cento dell’intero volume), ed è quasi uniformemente negativa, ad eccezione di pochi casi nei quali Smith sostiene che ai colonialisti dovrebbe essere concesso di agire come vogliono (come nel Nord America continentale) – ovvero, dove essi non sono considerati ‘cattivi per definizione’. Merita di essere sottolineato (specialmente perché è spesso ignorato) che il punto di vista di Smith sull’imperialismo – compresa la sua opinione sulle Crociate, secondo Smith architettate da quei campioni di malvagità delle repubbliche mercantili di Venezia, Genova e Pisa – è quasi interamente negativo. In un certo senso egli era più critico verso l’imperialismo persino di Marx, che a volte lo ritraeva, specialmente nei suoi scritti sull’India, come l’ancella dello sviluppo capitalistico e quindi, in ultima analisi, del socialismo.

3 – Non dimentichiamo Ricardo (si noti l’ultima frase:  prezzi più bassi dei generi di lusso non hanno alcun effetto sui salari nominali o reali):

“E’ stata mia cura dimostrare attraverso questo lavoro che il saggio di profitto non può mai essere accresciuto se non da una caduta dei salari, e che non ci può essere nessuna permanente caduta dei salari se non in conseguenza di un calo dei beni necessari sui quali si spendono i salari. Se, di conseguenza, attraverso un ampiamento del commercio estero o per effetto di miglioramenti nei macchinari, gli alimenti e i beni necessari per il lavoratore possono essere portati al mercato con un prezzo ridotto, i profitti cresceranno. Se, invece di far crescere il nostro stesso granturco, o di produrre i vestiti e le altre necessità del lavoratore, scopriamo un nuovo mercato dal quale possiamo fornire a noi stessi queste merci ad un prezzo più conveniente, i salari si ridurranno ed i profitti cresceranno; me se le merci ottenute ad un prezzo più economico, per l’ampliamento del commercio estero o per i miglioramenti nei macchinari, sono esclusivamente i prodotti consumati dai ricchi, non ci sarà alcuna modifica nel tasso dei profitti …”

 

4 – Adesso, a proposito della mancanza di interesse di Marx all’eguaglianza sotto il capitalismo:

… Ha senso parlare di distribuzione del reddito dopo la definizione del “giusto” contesto istituzionale – precisamente, di quelle istituzioni che trascendono le relazioni antagonistiche tra possessori del capitale e lavoratori – ma non prima. “Reclamare una remunerazione uguale, o anche equa, sulla base del sistema dei salari”, scrive Marx in Valore, prezzo e profitto, “è la stessa cosa che pretendere la libertà sulla base del sistema schiavistico”. Per Marx, come sintetizza in modo accurato Allen W. Wood, “l’eguaglianza è propriamente parlando solo un concetto politico, e persino un concetto politico tipicamente borghese; e … il reale significato della richiesta del proletario dell’eguaglianza … è la richiesta della abolizione delle classi.”

5 – Frammenti di elogio dei socialisti di Pareto:

“Se il ‘borghese’ fosse animato dallo stesso spirito di abnegazione e di sacrificio per la propria classe come i socialisti sono per la loro, il socialismo sarebbe assai distante dall’essere minaccioso come è effettivamente. La presenza nei suoi ranghi [tra i socialisti] della nuova elite è precisamente attestata dalle qualità morali che la nuova elite ha messo in campo attraverso i suoi adepti e che hanno permesso loro di emergere vittoriosi dalle prove più aspre di numerose persecuzioni.”

 

6 – Il bisogno di Kuznets di un’economia più ampia:

“Per studiare la crescita economica delle nazioni, è imperativo che si abbia maggiore consuetudine con scoperte in quelle connesse discipline sociali che possono aiutarci a comprendere i modelli di crescita delle popolazioni, la natura delle forze del cambiamento tecnologico, i fattori che determinano le caratteristiche e le tendenze delle istituzioni politiche, e in generale i modelli di comportamento degli esseri umani – sia come specie biologiche che come animali sociali. Un lavoro efficace in questo campo richiede di necessità uno spostamento dalla economia di mercato alla economia politica e sociale.”

 

7 – Stalin che si scaglia contro il dilagante egualitarismo:

“La causa è la struttura sbagliata dei salari, le sbagliate scale salariali, la pratica degli ‘estremisti di sinistra’ del livellamento salariale. In un certo numero di fabbriche le scale salariali sono concepite in tal modo che praticamente cancellano la differenza tra lavoro specializzato e lavoro generico, tra lavoro pesante e lavoro leggero. La conseguenza del livellamento salariale è che al lavoratore generico manca l’incentivo a diventare un lavoratore specializzato e quindi viene privato della prospettiva di un avanzamento; come risultato egli si sente come un ‘visitatore’ nella fabbrica, lavorandoci solo temporaneamente per ‘fare un po’ di soldi’ e poi andandosene a ‘cercare fortuna’ da qualche altra parte. La conseguenza del livellamento salariale è che il lavoratore specializzato è obbligato ad andarsene di fabbrica in fabbrica finché non trova quella nella quale le sue competenze sono appropriatamente apprezzate.”

 

8 – Ci sono tre ‘eguaglianze socialiste’. Oggi ci ricordiamo solo della prima.

Tre eguaglianze socialiste. Avendo appena considerato la formazione dei salari nella condizioni della Rivoluzione Culturale Cinese – uno degli esperimenti egualitari più radicali nella storia – potremmo considerare questo come un punto di raccordo dal quale spostarci su domande di natura ideologica, e in particolare per confrontare i tre concetti (generalmente parlando) proposti dalle diverse varietà di socialismo: la social-democrazia, il marxismo tradizionale e il marxismo con caratteristiche maoiste.

 

9 – E poi prende piede il declino ‘neoclassico, che diventa l’economia della ‘Guerra Fredda’.

Questo tipo particolare di economia neoclassica, sostenuta da esigenze politiche con la copertura del denaro dei miliardari, potrebbe essere etichettata come ‘l’economia della Guerra Fredda’. Questo è un termine che rivela più accuratamente la vera natura e gli obbiettivi dell’impresa che non le convenzionali etichette di economia ‘neoclassica’ e ‘prevalente’. Una versione dell’economia neoclassica può essere stata il suo centro intellettuale, ma il suo successo fu dovuto alle pressioni extra-accademiche del denaro e della politica.

 

10 – Il loro mondo può essere nel migliore dei modi rappresentato da un processo decisionale riservato a meno dell’1% della popolazione mondiale. Quindi esso non ha niente a  che fare con la distribuzione del reddito.

A loro difesa, si dice spesso che i metodi davvero astratti utilizzati dai neoclassici non dovrebbero essere criticati per i loro irrealistici assunti, giacché i metodi astratti sono solo parabole: essi raccontano la storia estraendo gli elementi più salienti e importanti. In questo c’è qualche verità – ma non tanta. Il problema con l’approccio di Blinder [2], e con simili lavori neoclassici, non è solo che gli assunti sono irrealistici, e non hanno niente a che vedere con l’esperienza di vita del 99 per cento della popolazione mondiale. Molto peggio di ciò, considerando il mondo come popolato da ‘agenti’ intercambiabili, l’analisi neoclassica ignora le reali differenze nelle dotazioni delle persone e gli ambiti delle loro possibile iniziativa …  

 

11 – Infine, essi creano un mondo marziano qua sulla Terra.

Inoltre, un tale approccio ignora la sostanza della ineguaglianza di reddito: le strutture del potere. La relazione fra un lavoratore ed un datore di lavoro non è semplicemente una relazione numerica espressa dal divario tra i loro redditi; essa è anche la differenza di potere che è così chiaramente presente nelle analisi di Smith e di Marx della produzione capitalistica. Uno ha il comando delle persone, l’altro viene comandato. Uno fa i cambiamenti politici, l’altro li apprende. Come nota giustamente Sebastian Conrad, l’incapacità di osservare le strutture del potere in modo fuorviante ‘conferisce il ruolo di agente a chiunque è coinvolto nello scambio e nelle interazioni [economiche]’. Per evitare questo errore, il lavoro sull’ineguaglianza deve collocare l’analisi teorica ed empirica nel suo contesto storico. Questo è qualcosa, tuttavia, che Blinder neppure cerca di fare: il suo mondo è un mondo alieno, astratto, che si riferisce alla vita sulla Terra più o meno quanto le teorie che gli astrobiologi hanno sviluppato si riferiscono alla vita su Marte. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] In questi giorni Branko Milanovic è occupatissimo nel ‘lancio’ del suo nuovo libro “Visioni dell’ineguaglianza. Dalla Rivoluzione francese alla fine della Guerra Fredda”. Il libro l’ho appena acquistato e vorrei che FataTurchina se ne occupasse con maggiore precisione prossimamente. Forse la cosa migliore sarebbe attendere qualche mese – suppongo – prima di avere una pubblicazione italiana.

Un aiuto nell’avvicinarsi a quella lettura viene – oltre che da qualche articolo pubblicato da Branko su vari aspetti della sua ricostruzione del pensiero economico, apparsi di recente – da questa anteprima pubblicato in questi giorni dall’economista serbo-americano su Twitter. Si tratta di una serie di frasi [sue] o di citazioni degli economisti studiati [Quesnay, Smith, Ricardo, Marx, Pareto, Kuznets e vari del periodo della Guerra Fredda e successivo).

Una specie di ‘antipasto’, che aiuta almeno ad intuire la novità del suo approccio; ma dovremo tornarci sopra nuovamente.

[2] Alan Stuart Blinder (Brooklyn14 ottobre 1945) è un economista e politico statunitense. Attualmente insegna alla Princeton University in qualità di Gordon S. Rentschler Memorial Professore di Economie e Affari Pubblici, vicepresidente dell’Observatory Group, e co-direttore del Princeton’s Center per gli studi di Politica Economica, che fu da lui fondato nel 1990. Fin dal 1978 egli è stato ricercatore associato del National Bureau of Economic Research.

 

 

 

 

 

 

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