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Perché l’Europa sta perdendo la gara della produttività? Di Barry Eichengreen (da Project Syndicate, 9 aprile 2024)

 

Apr 9, 2024

Why Is Europe Losing the Productivity Race?

BARRY EICHENGREEN

eichengreen

HONG KONG – The gap between productivity growth in the United States and Europe paints a stark and, for Europeans, depressing picture. In the two decades since 2004, US productivity growth, as measured by the value of output per hour worked, has been more than double that of the eurozone. Whereas eurozone productivity has flat-lined and even fallen slightly since the outbreak of the COVID-19 pandemic, US non-farm output per hour has risen by more than 6% over the same period – more than adequate performance by America’s own historical standards.

Something seems to be going seriously right in the US and seriously wrong in Europe. Some accounts point to the strong fiscal stimulus applied in the US since the outbreak of the pandemic. For Europeans this explanation is reassuring, because it suggests that the differential is transitory. After all, the US can’t run massive budget deficits and live beyond its means indefinitely.

But while strong spending stimulus can trigger rapid output and employment growth, it is not clear why it should produce faster productivity growth. On the contrary, given strong employment growth and tight labor markets, one might expect US companies to be forced to take on less productive workers, with negative implications for output per hour. More likely, tight labor markets in the US may mean that firms, unable to find an adequate supply of workers at any price, are impelled to substitute capital for labor – to invest in labor-saving technology.

Americans visiting a bank branch will encounter plenty of ATMs but sometimes not a single human teller. They are compelled to order meals, even at white-tablecloth restaurants, using a QR code. Patrons of Parisian bistros horrified by this thought may argue that a Franco-American cultural difference is at work. But it is hard to deny that tight labor markets also play a role.

Recall, however, that US productivity growth had accelerated relative to Europe’s already in the decade leading up to the pandemic, when labor markets were not so tight. Both the US and Europe turned to fiscal consolidation following the 2008 global financial crisis. Europe might have been slightly more hell-bent on austerity, but there was not enough difference in demand conditions to explain their different productivity outcomes.

Moreover, while American firms have been quicker to capitalize on digital technologies, the timing is wrong here, too: US outperformance in computer producing and using sectors was most pronounced in the decade preceding the global financial crisis, not in the period since.

As for the latest round of new digital technologies, firms are only just now beginning to explore how large language models and generative artificial intelligence can be used to boost productivity. In other words, AI and related developments can’t explain America’s unusually strong productivity performance in the last four years. In fact, history suggests that capitalizing on radical new technologies requires firms to reorganize how they do business, a trial-and-error process that takes time. The inevitability of errors means that productivity is likely to fall before rising, a phenomenon economists call the “productivity J-curve.”

And it is not as if European managers are unaware of the labor-saving and productivity-enhancing potential of digital technologies. It could be that Europe’s strong trade unions, fearing job destruction, resist their adoption, although Germany, with a tradition of strong unions, has some of the most robot-intensive factories in the world.

Alternatively, restrictive European Union rules may be impeding adoption. The EU’s data-privacy regulations, and now its proposed AI rulebook, if adhered to strictly, may slow the development of AI applications.

Finally, it could simply be that Europe has had bad luck, specifically in the form of Russian President Vladimir Putin and his energy-price shock. The US, being self-sufficient in energy, has not been vulnerable to energy-supply disruptions to the same degree. European firms, in contrast, have been forced to suspend their most energy-intensive operations or else to engage in costly restructuring, which is not good for productivity.

Mario Draghi, Europe’s senior economic statesman, will present the EU with a set of proposals later this year for boosting productivity. No doubt, he will recommend completing Europe’s capital-markets union so that firms can more easily finance investments in new technologies.

Draghi will recommend removing barriers to competition, which would intensify the pressure on firms to innovate in order to survive. He will advocate greater energy efficiency and self-sufficiency to free Europe from more Putin-like disruptions.

Observers like me can confidently predict what Draghi will recommend because such proposals have been around for years. Europe should move now to implement these old ideas. And it desperately needs to come up with new ones.

 

Perché l’Europa sta perdendo la gara della produttività?

Di Barry Eichengreen

 

HONG KONG – Il divario tra la crescita della produttività negli Stati Uniti e in Europa mostra, per gli europei, un quadro severo e deprimente. Nei due decenni a partire dal 2004, la crescita della produttività statunitense, misurata dal valore della produzione per ore lavorate, è stata più che doppia di quella dell’eurozona. Mentre la produttività nell’eurozona è rimasta piatta ed è persino leggermente calata dallo scoppio della pandemia del Covid-19, la produzione oraria non agricola statunitense è cresciuta nello stesso periodo di più del 6% – una prestazione più che adeguata per gli stessi standard storici dell’America.

Qualcosa sembra andare davvero bene negli Stati Uniti e in modo davvero storto in Europa. Alcuni usano l’argomento del forte stimolo di finanza pubblica attuato negli Stati Uniti dallo scoppio della pandemia. Per gli europei questa spiegazione sarebbe rassicurante, giacché indicherebbe che il differenziale è transitorio. Dopo tutto, gli Stati Uniti possono gestire deficit massici di bilancio e vivere indefinitamente oltre i loro mezzi.

Ma mentre un forte stimolo della spesa può innescare una rapida crescita della produzione e dell’occupazione, non è chiaro perché dovrebbe produrre una crescita più veloce della produttività. Al contrario, data la forte crescita dell’occupazione e i rigidi mercati del lavoro, ci si aspetterebbe che le società americane siano costrette ad assumere lavoratori meno produttivi, con implicazioni negative sulla produzione oraria. Più probabilmente i rigidi mercati del lavoro negli Stati Uniti possono comportare che le imprese, incapaci di trovare una adeguata offerta di lavoratori a qualsiasi prezzo, siano stimolate a sostituire il lavoro con il capitale – a investire su tecnologie che risparmiano lavoro.

Gli americani che visitano una filiale di una banca incontreranno grandi quantità di sportelli Bancomat, ma talvolta neppure un solo cassiere umano. Essi sono stimolati ad ordinare pasti, persino ai ristoranti con le tovaglie bianche, utilizzando un codice a barre a risposta rapida. Gli avventori dei bistrò parigini terrorizzati da questo pensiero possono pensare che sia all’opera una diversità culturale franco-americana. Ma è difficile negare che anche i rigidi mercati del lavoro giochino un ruolo.

Ricordiamoci, tuttavia, che la crescita statunitense della produttività aveva avuto una accelerazione rispetto all’Europa già nel decennio precedente la pandemia, quando i mercati del lavoro non erano così rigidi. A seguito della crisi finanziaria globale del 2008, sia gli Stati Uniti che l’Europa si erano indirizzati ad un consolidamento della finanza pubblica. L’Europa potrebbe essere stata leggermente più determinata sull’austerità, ma non c’erano sufficienti diversità nelle condizioni della domanda per giustificare i loro differenti risultati di produttività.

Inoltre, mentre le imprese americane sono state più rapide a capitalizzare le tecnologie digitali, anche in questo caso la tempistica è sbagliata: le prestazioni statunitensi nei settori della produzione e dell’utilizzo dei computer era più pronunciata nel decennio che precedette la crisi finanziaria globale, non nel periodo successivo.

Per quanto riguarda l’ultima serie delle nuove tecnologie digitali, soltanto adesso le imprese stanno iniziando ad esplorare come i modelli di linguaggio di grandi dimensioni e l’intelligenza artificiale generativa possono essere utilizzati per sostenere la produttività. In altre parole, l’IA ed i relativi sviluppi non possono spiegare l’insolita forte prestazione nella produttività dell’America negli ultimi quattro anni. Di fatto, la storia suggerisce che capitalizzare su tecnologie radicalmente nuove richiede alla imprese una riorganizzazione dei modi nei quali operano, un processo di sperimentazione e di errori che ha bisogno di tempo. L’inevitabilità degli errori comporta che la produttività cali prima di crescere, un fenomeno che gli economisti definiscono “curva della produttività a forma di J”.

E non si può pensare che i manager europei siano inconsapevoli del potenziale di risparmio sul lavoro e di potenziamento della produttività delle tecnologie digitali. Potrebbe darsi che i forti sindacati europei, nel timore della distruzione di posti di lavoro resistano alla loro adozione, sebbene la Germania, con una tradizione di sindacati forti, abbia alcuni degli stabilimenti a maggiore intensità di robot nel mondo.

In alternativa, le regole restrittive dell’Unione Europea, possono ostacolare l’adozione. I regolamenti per la privacy dei dati dell’UE, e adesso il suo proposto regolamento sull’IA, se rispettati rigorosamente, potrebbero rallentare lo sviluppo delle applicazioni dell’IA.

Infine, potrebbe semplicemente darsi che l’Europa abbia avuto poca fortuna, in particolare nella forma del Presidente russo Vladimir Putin e dei suoi shock sui prezzi dell’energia. Essendo gli Stati Uniti autosufficienti nell’energia, non sono stati vulnerabili con la stessa intensità ai turbamenti nell’offerta energetica. All’opposto, le imprese europee sono state costrette a sospendere le loro operazioni a maggiore intensità di energia o altro per impegnarsi in ristrutturazioni costose, che per la produttività non sono positive.

Alla fine di quest’anno, Mario Draghi, il più esperto statista economico europeo, presenterà all’UE un complesso di proposte per il sostegno della produttività. Non c’è dubbio che egli raccomanderà che l’Europa completi l’unione dei mercati dei capitali, in modo che le imprese possano finanziare più facilmente gli investimenti in nuove tecnologie.

Draghi raccomanderà di rimuovere le barriere alla competizione, il che aumenterebbe la spinta sulle imprese ad innovare allo scopo di sopravvivere. Egli difenderà una maggiore efficienza ed autosufficienza energetica  per liberare l’Europa da turbamenti del genere di quelli di Putin.

Gli osservatori come me possono fiduciosamente prevedere quello che Draghi raccomanderà, giacché tali proposte sono in circolazione da anni. L’Europa adesso dovrebbe muoversi  per mettere in atto queste vecchie idee. Ed essa ha bisogno disperatamente di farsene venire in mente di nuove.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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