NEW DELHI – Toward the end of the ancient Indian epic the Mahabharata, Krishna’s Yadava clan self-destructs. Many dark omens presage their downfall: nature behaves erratically and pests multiply. Sin, deception, and violence proliferate, eroding trust and solidarity. Clan members humiliate and insult wise elders. When Krishna’s extended family goes on a picnic, the men get drunk, argue, and attack each other, until eventually all of them are dead.
This cautionary tale has gained new resonance as geopolitical tensions – including in South Asia – escalate, and many countries embrace protectionist policies. US President Donald Trump’s second administration has contributed significantly to the current fragmentation and disorder. But other wealthy countries have exacerbated the situation by failing to show any real solidarity in response to Trump’s hostile policies.
The lack of development cooperation is a prime example of this growing appetite for mutually assured destruction. To be sure, aid from donor countries was already declining, and recent events have exposed the system’s injustices. The COVID-19 pandemic highlighted Western governments’ greed, undermining others’ trust in their global leadership. Moreover, the fact that these governments have directed most of their dwindling foreign-aid budgets to Ukraine since Russian’s 2022 invasion, diverting funds away from other war-torn and desperately poor countries, has underscored the largely self-serving approach to such “charity” flows.
Still, it is surprising – and dispiriting – that other donor countries have not stepped up after Trump terminated almost all US foreign-aid funding and programming. This would have been the obvious thing to do, not necessarily out of solidarity, but simply because of geopolitical self-interest.
For starters, Trump’s indiscriminate attacks on allies and rivals alike have demonstrated the necessity of coordinated action, which requires building alliances, supporting multilateralism, and cultivating soft power. One easy and relatively cheap way to do that is by continuing to support multilateral institutions. Such funding may also defuse some of the anger that many people in the Global South feel about the Western world’s complicity in the ongoing decimation and mass killings in Gaza.
Moreover, the massive reduction in US direct aid and financing for international organizations will hinder the provision of global public goods, including health and climate stability. The concept of global public investment suggests that all countries have a stake in solving these challenges, and should thus contribute resources to addressing them, according to their means, and distribute the collected funds based on need and impact.
But the response of most rich countries has so far been appalling. Instead of scaling up foreign assistance, several European governments have slashed it, citing the need to channel funds to defense investment. As a result, some of the most immediate needs that fall under a global public investment framework are going unmet.
This is especially baffling because the amounts required to plug the development-financing hole left by the United States are so small as to be trivial. For example, Trump’s withdrawal of the US from the World Health Organization – which remains absolutely critical for managing global health threats – means that the WHO faces a $1.9 billion budget shortfall in 2026-27 – a gap that rich countries and even most large middle-income countries could easily afford to fill.
It’s a similar story at other international organizations. The United Nations World Food Programme faces an estimated 40% reduction in funding – equal to roughly $4 billion. The WFP, which served more than 100 million people in 2024 and won the Nobel Peace Prize five years ago, must now downsize its staff by nearly one-third (around 6,000 positions worldwide) and reduce the amount of life-saving food that it provides, because no other countries have offered to offset the shortfall.
Similarly, the Joint UN Programme on HIV/AIDS (UNAIDS), which relied on the US for more than 40% of its financing, will need to cut more than half of its workforce and reduce or eliminate some of its essential programs. (Switzerland and the United Kingdom, two other major UNAIDS funders, have likewise reduced their contributions). That could lead to six times more HIV infections and a 400% increase in AIDS deaths by 2029, as well as the emergence of new strains, which would have negative repercussions for all countries. But the organization’s budget gap is a modest $58 million – the same shortfall facing the UN Office for the Coordination of Humanitarian Affairs, which has to lay off 20% of its staff.
Given these minuscule sums, filling the gap left by the US would have a negligible fiscal impact on traditional donors and large middle-income countries. But only a handful of countries, like South Korea, have responded to the funding crisis, preventing essential organizations’ collapse and enabling them to function properly – for now. If wealthier countries refuse to provide for the global common good, the multilateral system as we know it will not survive.
La assicurata distruzione reciproca dello sviluppo,
di Jayati Ghosh
NUOVA DELHI – Verso la fine dell’antico poema epico indiano Mahabharata, il clan Yadava di Krishna si autodistrugge. Molti cupi presagi annunciano la loro caduta: la natura si comporta in modo imprevedibile e gli insetti infestanti si moltiplicano. Proliferano i peccati, gli inganni e la violenza, che erodono fiducia e solidarietà. I membri del clan umiliano e insultano gli anziani saggi. Quando la famiglia allargata di Krishna va a fare una scampagnata, gli uomini si ubriacano, litigano e si attaccano l’uno con l’altro, finché alla fine non muoiono tutti.
Questo racconto ammonitore ha acquistato nuova risonanza nel mentre le tensioni geopolitiche – comprese quelle nell’Asia meridionale – si intensificano e molti paesi abbracciano politiche protezionistiche. La seconda amministrazione del Presidente statunitense Donald Trump ha contribuito in modo significativo all’attuale frammentazione e disordine. Ma altre nazioni ricche hanno esacerbato la situazione non riuscendo a mostrare alcune reale solidarietà in risposta alle politiche ostili di Trump.
La mancanza di cooperazione allo sviluppo è un ottimo esempio di questo crescente desiderio di reciproca distruzione assicurata. Certamente, l’aiuto dai paesi donatori era già in declino, e gli eventi recenti hanno manifestato le ingiustizie del sistema. La pandemia del Covid-19 ha messo in evidenza l’avidità dei governi occidentali, minando la fiducia degli altri nella loro capacità di guida globale. Inoltre, il fatto che questi governi abbiano indirizzato, dalla invasione russa del 2022, la maggior parte dei loro bilanci in diminuzione verso l’Ucraina, distraendo i finanziamenti da altri paesi devastati dalla guerra e disperatamente poveri, ha evidenziato l’approccio in buona parte egoistico di tali flussi di “carità”.
Eppure, è sorprendente – e avvilente – che altri paesi donatori non si siano fatti avanti dopo che Trump ha interrotto quasi per intero i finanziamenti e la programmazione degli aiuti all’estero statunitensi. Sarebbe stata la cosa evidente da fare, non necessariamente per solidarietà, ma semplicemente per auto interesse geopolitico.
Per cominciare, gli attacchi indiscriminati di Trump sia agli alleati che agli avversari hanno dimostrato la necessità della azione coordinata, che richiede costruzione di alleanze, sostegno del multilateralismo ed esercizio di una politica persuasiva. Un modo facile e relativamente conveniente di farlo sarebbe proseguendo il sostegno alle isituzioni multilaterali. Tali finanziamenti potrebbero anche disinnescare la rabbia che molte persone nel Sud Globale avvertono per la perdurante complicità dell’Occidente nella perdurante decimazione e per gli omicidi di massa a Gaza.
Inoltre, la riduzione massiccia dell’aiuto diretto e del finanziamento statunitense alle organizzazioni internazionali bloccherà la fornitura dei beni pubblici globali, compresi quelli relativi alla salute ed alla stabilità climatica. Il concetto di investimento pubblico globale indica che tutti i paesi hanno un interesse nell’affrontare queste sfide, e dovrebbero quindi fornire risorse per affrontarle, sulla base delle loro possibilità, e distribuire i finanziamenti raccolti basandosi sul bisogno e sulla efficacia.
Ma la risposta della maggior parte dei paesi ricchi è stata sinora spaventosa. Anziché incrementare l’assistenza estera, vari governi europei l’hanno decurtata, con l’argomento della necessità di indirizzare i finanziamenti agli investimenti per la difesa. Come risultato, alcuni dei bisogni più immediati che ricadono in uno schema di investimento pubblico globale non vengono soddisfatti.
Questo è particolarmente sconcertante perché le quantità richieste per riempire il buco del finanziamento allo sviluppo lasciato dagli Stati Uniti sono così piccole da essere banali. Ad esempio, il ritiro degli Stati Uniti dalla Organizzazione Mondiale della Sanità (WHS) – che resta assolutamente fondamentale per gestire le minacce globali alla salute – significa che il WHS sarà di fronte ad un deficit di bilancio di 1,9 miliardi di dollari nel 2026-27 – un buco che i paesi ricchi e persino la maggior patrte dei paesi a medio reddito potrebbero facilmente permettersi di riempire.
La storia è simile presso altre organizzazioni internazionali. Il Programma Mondiale Alimentare (WFP) delle Nazioni Unite è di fronte ad una riduzione del 40% dei finanziamenti – pari a circa 4 miliardi di dollari. Il WFP, che ha assistito più di 100 milioni di persone nel 2024 e vinse il Premio Nobel per la pace cinque anni orsono, deve adesso ridimensionare i suoi organici di circa un terzo (circa 6.000 persone in tutto il mondo) e ridurre la quantità degli alimenti salvavita che fornisce, perché nessun altro paese ha offerto di compensare la riduzione.
In modo simile, il Programma delle Nazioni Unite su l’HIV/AIDS (UNAIDS), che si basava sugli Stati Uniti per circa il 40% del suo finanziamento, dovrà tagliare più della metà dei suoi organici e ridurre o eliminare alcuni suoi programmi essenziali (la Svizzera e il Regno Unito, due altri importanti finanziatori dell’UNAIDS, hanno anch’essi ridotto i loro contributi). Questo potrebbe portare a infezioni sei volte maggiori di HIV ed a un aumento del 400% delle morti per AIDS entro il 1929, così come all emergenza di nuove specie infettive, che avrebbero ripercussioni negative in tutti i paesi. Ma il deficit di bilancio dell’organizzazione ammonta a modesti 58 milioni di dollari – lo stesso disavanzo che si trova ad affrontare l’Ufficio per il Coordinamento degli Affari Umanitari delle Nazioni Unite, che deve licenziare il 20% dei suoi organici.
Date queste somme minuscole, riempire il vuoto lasciato dagli Stati Uniti avrebbe un impatto finanziario trascurabile sui donatori internazionali e sui grandi paesi a medio reddito. Ma per adesso soltanto una manciata di paesi, come la Corea del Sud, hanno risposto alla crisi di finanziamenti, impedendo il collasso di organizzazioni essenziali e permettendo loro di funzionare appropriatamente. Se i paesi più ricchi si rifiutano di provvedere per il bene comune globale, il sistema multilaterale come lo conosciamo non sopravviverà.
By mm
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