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Da un Accordo Mar-a-Lago la Cina potrebbe trarre beneficio, di Yao Yang (da Project Syndicate, 4 giugno 2025)

 

Jun 4, 2025

A Mar-a-Lago Accord Could Benefit China

Yao Yang

 

Yao YangBEIJING – The provisional trade deal reached by China and the United States in Geneva last month exceeded expectations, with the two sides agreeing to roll back for 90 days the majority of tariffs and other countermeasures they had imposed in the preceding weeks. To be sure, a number of tariffs remain – including all those the US imposed on China during Donald Trump’s first presidency – and little progress was made in resolving underlying disagreements, such as over fentanyl flows into the US. But with more talks set to take place (amid and despite accusations by both sides that the provisional agreement has been violated), a robust agreement may well be in the offing.

To understand what such an agreement might look like, it is worth considering the grievances behind Trump’s tariff policy. Conventional economic theory holds that, in a flexible exchange-rate system, changes in a currency’s value should lead to a stable trade balance in the issuing economy. But, as experience shows, a number of factors can disrupt this dynamic. In the case of the dollar, it is very easy to pin down the main one: its status as the world’s dominant reserve currency.

As the economist Robert Triffin explained in 1960, unless the country that provides the world’s reserve currency runs a current-account deficit, the world loses its largest source of liquidity for reserves, with catastrophic consequences for economic growth and stability. But the ever-expanding deficit can undermine confidence in the reserve-issuing country – what is known as the Triffin dilemma.

The Trump administration’s chief complaint is that permanent demand for dollars keeps the currency strong, even when the US Federal Reserve pursues very accommodative interest-rate policies, as was the case for well over a decade after the 2008 global financial crisis. Given this, improving America’s export competitiveness – and, thus, its trade balance – requires policy intervention.

To this end, the Trump administration has floated the idea of a “Mar-a-Lago Accord,” inspired by the 1985 Plaza Accord, under which the five largest industrialized economies agreed to devalue the US dollar relative to the Japanese yen and the German Deutschmark. The new iteration – the brainchild of Stephen Miran, now the chair of Trump’s Council of Economic Advisers – would be negotiated at Trump’s Mar-a-Lago resort in Florida, rather than the Plaza Hotel in New York City.

But getting your trading partners to help you devalue your currency vis-à-vis theirs is no easy feat. That is why, as Miran argued last year, negotiations would have to be preceded by “punitive tariffs.” Countries would be so desperate to get the tariffs reversed, the logic went, that they would agree to whatever Trump demanded.

But America’s trading partners have good reason to be open to a Mar-a-Lago Accord. Since the world needs a reserve currency – no alternative global monetary arrangement has so far proved successful – America’s provision of it amounts to a global public good. One can thus think of a coordinated dollar devaluation as the price the rest of the world must pay in exchange for that good.

Perhaps more important, other major currencies’ appreciation may not be all bad for the countries that issue them. This is certainly true for China. At a time when slowing income growth is undermining business and consumer confidence, a stronger renminbi would almost instantly make people feel richer. This wealth effect would provide a major boost to consumption – one of the government’s key priorities – and be complemented by a slowdown in export growth (since Chinese goods would cost more abroad). As China’s external imbalances declined, so would tensions with its major trading partners.

By how much should the renminbi appreciate? While China’s economy is already 1.3 times the size of America’s in terms of purchasing power parity, it is only 65% the size of the US economy at the current exchange rate. This means that, in theory, there is room for the renminbi to appreciate by 50% against the dollar, though this is probably not realistic. A more reasonable, achievable target would be a one-time appreciation of 15-20%.

A Mar-a-Lago Accord could also benefit China in other ways. Because it would do so much good for the US – not least by increasing Chinese investment in the US (which could support reindustrialization) – China would leverage it to persuade Trump to eliminate the 20% tariff on Chinese goods he introduced during his first term.

It is easy to view US-China engagement as a zero-sum game. But mutually beneficial agreements are entirely possible. Perhaps unexpectedly, a Mar-a-Lago Accord could be one of them.

 

Da un Accordo Mar-a-Lago la Cina potrebbe trarre beneficio,

di Yao Yang [1]

 

PECHINO – L’accordo provvisorio raggiunto il mese scorso a Ginevra dalla Cina e dagli Stati Uniti è andato oltre le aspettative, con le due parti che hanno concordato di rinviare di 90 giorni la maggior parte delle tariffe e delle contromisure che avevano imposto nelle settimane precedenti. Sicuramente, un certo numero di tariffe rimane – comprese tutte quelle che gli Stati Uniti imposero alla Cina durante la prima presidenza di Donald Trump – e pochi progressi sono stati fatti nel risolvere i disaccordi di fondo, come quello sui flussi di fentanyl negli Stati Uniti.  Ma con altri colloqui in programma (in mezzo a e nonostante accuse reciproche di violazione dell’accordo provvisorio), può ben essere in vista un accordo solido.

Per capire a cosa tale accordo potrebbe somigliare, è il caso di considerare le lamentele che stanno dietro la politica tariffaria di Trump. La teoria economica convenzionale sostiene che, in un sistema di tassi di cambio flessibili, i cambiamenti nel valore di una valuta dovrebbero portare ad una bilancia commerciale stabile nell’economia che li determina. Ma, come mostra l’esperienza, un certo numero di fattori può disturbare questa dinamica. Nel caso del dollaro, è molto facile individuarne uno: il suo status di valuta dominante della riserva del mondo.

Come l’economista Robert Triffin spiegò nel 1960, a meno che il paese che mette a disposizione la valuta di riserva mondiale non abbia un deficit del conto corrente, il mondo perde la sua più ampia fonte di liquidità per le riserve, con conseguenze catastrofiche per la crescita economica e la stabilità. Ma un deficit in continua espansione può minare la fiducia nel paese che emette la riserva – la qual cosa è nota come il dilemma di Triffin.

La principale lamentela della amministrazione Trump è che la richiesta permanente di dollari mantiene forte la valuta, anche quando la Federal Reserve persegue politiche del tasso di interesse molto favorevoli, come è stato il caso per ben più di un decennio dopo la crisi finanziaria globale del 2008. Considerato questo, migliorare la competitività delle esportazioni dell’America – e, quindi, la sua bilancia commerciale – richiede interventi politici.

A questo fine, l’amministrazione Trump ha ventilato l’idea di un “Accordo Mar-a-Lago”, ispirato all’accordo del Plaza del 1985, con il quale le cinque più grandi economie industrializzate concordarono di svalutare il dollaro rispetto allo yen giapponese ed al deutschmark tedesco. La nuova versione – il parto dell’ingegno  di Stephen Miran, adesso presidente del Consiglio dei Consulenti economici di Trump –  verrebbe negoziata nel villaggio turistico di Trump di Mar-a-Lago in Florida, anziché al Plaza Hotel di New York City.

Ma ottenere che i vostri partner commerciali vi aiutino a svalutare la vostra moneta rispetto alle loro non è un’impresa facile. Quella è la ragione per la quale, come Miran sostenne l’anno passato, i negoziati avrebbero dovuto essere preceduti da “tariffe punitive”. I paesi sarebbero così disperati di ottenere un rovesciamento delle tariffe, questa è la logica, che sarebbero d’accordo con qualsiasi cosa Trump richieda.

Ma i partner commerciali dell’America hanno buone ragioni per essere disposti ad un Accordo di Mar-a-Lago. Dal momento che il mondo ha bisogno di una valuta di riserva – nessuna soluzione monetaria globale si è sinora dimostrata di successo – la fornitura di essa da parte dell’America corrisponde ad un bene pubblico globale. Si può quindi considerare una coordinata svalutazione del dollaro come il prezzo che il resto del mondo deve pagare per quel bene.

Forse ancora più importante, l’apprezzamento di altre importanti valute potrebbe non essere così negativo per i paesi che le emettono. Questo è certamente il caso della Cina. In un momento nel quale il rallentamento nella crescita del reddito sta indebolendo la fiducia delle imprese e dei consumatori, un renmimbi più forte indurrebbe quasi istantaneamente le persone a sentirsi più ricche. L’effetto della ricchezza darebbe una spinta importante ai consumi – una delle principali priorità del governo – e sarebbe accompagnato da un rallentamento nella crescita delle esportazioni (dal momento che i prodotti cinesi costerebbero di più all’estero). Come gli squilibri esterni della Cina si ridurrebbero, lo stesso accadrebbe alle tensioni con i suoi principali partner commerciali.

Ma quanto dovrebbe rivalutarsi il renmimbi? Mentre l’economia della Cina è già 1,3 volte delle dimensioni di quella dell’America in termini di parità del potere d’acquisto, all’attuale tasso di cambio essa è soltanto il 65% dell’economia statunitense. Questo comporta che, in teoria, c’è spazio perché il renmimbi si rivaluti del 50% rispetto al dollaro, per quanto questo sia probabilmente non realistico. Un obbiettivo più ragionevole e realizzabile sarebbe un apprezzamento in un’unica soluzione del 15-20%.

Da un Accordo Mar-a-Lago la Cina potrebbe anche trarre beneficio in altri modi. Dato che essa provocherebbe un tale vantaggio per gli Stati Uniti – non da ultimo incrementando gli investimenti cinesi negli Stati Uniti (il che potrebbe sostenere la reindustrializzazione) – la Cina potrebbe utilizzarlo a proprio vantaggio per persuadere Trump a eliminare la tariffa del 20% sui prodotti cinesi che egli introdusse nel suo primo mandato.

È semplice considerare un contratto tra gli Stati Uniti e la Cina come una partita a somma zero [2]. Eppure accordi reciprocamente benefici sono interamente possibili. Forse inaspettatamente, un Accordo Mar-a-Lago potrebbe essere uno di essi.

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] Yao Yang è docente al Centro per la Ricerca Economica della Cina ed alla Scuola Nazionale dello Sviluppo dell’Università di Pechino.

[2] (per memoria) Una “partita a somma zero” è un gioco o una situazione in cui le risorse sono limitate. Il guadagno di un partecipante è esattamente uguale alla perdita degli altri partecipanti. In sostanza, in una partita a somma zero, non ci sono possibilità di guadagno per tutti, ma solo di un cambiamento di risorse da un partecipante all’altro. 

 

 

 

 

 

 

 

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