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La lunga ombra del Mercoledì Nero, di Barry Eichengreen (da Project Syndicate, 13 settembre 2022)

 

Sep 13, 2022

The Long Shadow of Black Wednesday

BARRY EICHENGREEN

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BERKELEY – This September 16 will mark 30 years since “Black Wednesday,” when the British pound was ignominiously ejected from the exchange rate mechanism (ERM) of the European Monetary System. Not all anniversaries are occasions for celebration. This one certainly is not.

Black Wednesday was “a day of disaster,” from which Prime Minister John Major’s government never recovered. It had been Major, as Chancellor of the Exchequer in Margaret Thatcher’s government, who led Britain into the ERM in 1990, overriding the objections of his balky prime minister.

Major saw pegging the pound to Germany’s Deutsche Mark as a way to solve Britain’s economic problems at a stroke. Pegging to the Deutsche Mark would supposedly import German monetary-policy credibility and subdue Britain’s chronic inflation. Emulating the model of Europe’s most successful economy promised to invigorate economic growth.

This, of course, was wishful thinking. Importing German monetary policy did not automatically give Britain Germany’s investment rates, skilled machinists, or export prowess. Moreover, no sooner was the pound pegged to the Deutsche Mark than Germany experienced economic difficulties of its own, as the Federal Republic struggled to digest the former East Germany.

Those difficulties included inflation, which the Bundesbank moved to suppress, as was its wont, by raising interest rates. The Bank of England had no choice but to move in lockstep. European countries had eliminated their remaining capital controls as part of the Single Market program. With finance now free to flow to higher-interest-rate jurisdictions, rates had to move together. If a country hesitated to match foreign rates, it would experience capital outflows and a deluge of currency sales.

And the Major government had reason to hesitate. The British economy had entered recession in 1991, and higher interest rates aggravated its downturn. The weak economy made for a weak housing market, and home prices were already falling. In a country with variable-rate mortgages, higher BOE rates meant higher mortgage payments and a still weaker housing market. This hit the Conservative government’s core constituency, homeowners in England’s leafy suburbs, squarely in the pocketbook.

Thus, it didn’t take a political sage to understand that there were limits on how far the Major government might go to maintain the peg.

Sentiment turned against the pound in September, when Major’s chancellor, Norman Lamont, got into a slanging match with Bundesbank President Helmut Schlesinger. Then, on September 15, Schlesinger made some remarks to the press – can you say “payback?” – about the possibility of currency devaluations, including of the pound, unleashing a tidal wave of sterling sales the next morning.

Massive currency purchases by the BOE could not stem the tide. The Major government raised interest rates twice but was unwilling to go further. That evening, the government rescinded the second rate increase, and Lamont announced that it was suspending sterling’s participation in the ERM. The BOE’s failed defense of sterling cost it upwards of £3 billion ($3.5 billion) – and removed the cornerstone of Major’s economic-policy agenda.

The consequences were far-reaching. For Britain, this represented the final abandonment of the pegged-exchange-rate regime to which it had committed and recommitted since 1717. The BOE was forced to develop an alternative monetary-policy strategy. In October, adopting an approach pioneered by the Reserve Bank of New Zealand, it turned to inflation targeting, the regime it has operated, for better or worse, ever since.

Abandoning the ERM meant that the United Kingdom would not qualify for the euro. British officials took this as a happy consequence, given their painful recent experience with imported monetary policy. But this meant that Britain would continue to have one foot in Europe and one foot out. It reinforced the country’s ambivalence toward the European project – an ambivalence that would tip into rejection with the Brexit referendum in 2016.

For other European countries, the experience highlighted the urgency of completing the euro. It showed that pegged exchange rates between national currencies were fragile, and that the Bundesbank, left to its own devices, would not tailor its policies to wider European needs.

In fact, Black Wednesday also reflected the influence of France’s imminent referendum on the Maastricht Treaty. Polls indicated that the treaty, the euro’s founding document, was headed for defeat – taking the euro down with it. But four days later, French voters, having just seen a demonstration of the alternative, pushed the treaty through.

In a sense, then, had Major not made his ill-fated decision to bring sterling into the ERM, Europe would not have the euro. As for the UK itself, Prime Minister Liz Truss can only hope that the 30th anniversary of Black Wednesday won’t be “celebrated” with a replay.

 

La lunga ombra del Mercoledì Nero,

di Barry Eichengreen

 

BERKELEY – Il 16 settembre saranno passati 30 anni dal “Mercoledì Nero”, il giorno in cui la sterlina britannica vene ignominiosamente espulsa dal meccanismo del tasso di cambio (ERM) del Sistema Monetario Europeo. Non tutti gli anniversari sono occasioni per festeggiamenti. Questo sicuramente non lo è.

Il Mercoledì Nero fu “un giorno di disastro”, dal quale il Governo del Primo Ministro John Major non si riprese mai. Era stato Major, come Cancelliere dello Scacchiere nel Governo di Margaret Thatcher, che guidò l’Inghilterra nell’ERM nel 1990, a ignorare le obiezioni della sua recalcitrante Prima Ministra.

Major considerò l’ancoraggio delle sterlina al Deutsche Mark della Germania come un modo per risolvere i problemi economici dell’Inghilterra in un colpo solo. Ancorarsi al marco tedesco si supponeva avrebbe importato la credibilità della politica monetaria tedesca e attenuato la cronica inflazione britannica. Emulare il modello di maggiore successo dell’Europa prometteva di rinvigorire la crescita economica.

Questo, naturalmente, era mero ottimismo. Importare la politica monetaria della Germania non diede automaticamente all’Inghilterra i tassi di investimento della Germania, i suoi operatori qualificati o la sua bravura nelle esportazioni. Inoltre, non appena la sterlina si ancorò al marco tedesco, la Germania conobbe per suo conto difficoltà economiche, allorché la Repubblica Federale faticò a digerire la passata Germania Orientale.

Quelle difficoltà comprendevano l’inflazione, che la Bundesbank operò per reprimere, come da sua abitudine, elevando i tassi di interesse. La Banca di Inghilterra non ebbe scelta se non muoversi a ranghi serrati. I paesi europei avevano eliminato i loro residui controlli dei capitali come componente del programma per il Mercato Unico. Con la finanza adesso libera di scorrere verso giurisdizioni a più elevato tasso di interesse, i tassi dovevano muoversi assieme. Se un paese avesse esitato a pareggiare i tassi stranieri, avrebbe conosciuto fughe di capitali e un diluvio di vendite di valuta.

E il Governo Major aveva ragione ad esitare. L’economia inglese era entrata in recessione nel 1991, e i tassi di interesse più elevati aggravarono il suo declino. L’economia debole portò ad un debole mercato immobiliare, e i prezzi delle abitazioni erano già in caduta. In un paese con mutui a tasso variabile, i più alti tassi della Banca di Inghilterra (BOE) comportarono più alti pagamenti dei mutui e un mercato immobiliare ancora più debole. Questo diede un colpo al cuore della base del Governo conservatore, ai proprietari di case nei verdeggianti quartieri periferici inglesi, esattamente nel loro portafoglio.

Quindi, non ci volle particolare sapienza politica per comprendere che c’erano limiti su quanto a lungo il Governo Major avrebbe potuto mantenere l’ancoraggio.

A settembre, il sentimento pubblico si volse contro la sterlina, quando il Cancelliere di Major, Norman Lamont, giunse ad uno scambio di insulti con il Presidente della Bundesbank Helmut Schlesinger. Poi, il 15 settembre, Schlesinger fece alcune osservazioni alla stampa – possiamo definirle una “rivalsa”? – sulla possibilità di svalutazioni monetarie, compresa la sterlina, che la mattina successiva scatenarono un maremoto di vendite di sterline.

Massicci acquisti di valuta da parte della BOE non poterono fermare l’ondata. Il Governo Major elevò due volte i tassi di interesse ma non fu disponibile ad andare oltre. Quel pomeriggio, il Governo revocò il secondo aumento del tasso, e Lamont annunciò che esso stava sospendendo la partecipazione della sterlina all’ERM. La fallita difesa della sterlina da parte della BOE costò oltre 3 miliardi di sterline (3,5 miliardi di dollari) – e rimosse il fondamento della agenda di politica economica di Major.

Le conseguenze furono di vasta portata. Per l’Inghilterra, questo rappresentava l’abbandono finale del regime del tasso di cambio ancorato al quale si era impegnata e reimpegnata dal 1717. La BOE fu costretta a sviluppare una strategia alternativa di politica monetaria. Nell’ottobre, adottando un approccio sperimentato per prima dalla Reserve Bank della Nuova Zelanda, essa si volse alla fissazione di obbiettivi di inflazione, il regime che, nel bene e nel male, ha operato sin da allora.

Abbandonare l’ERM comportava che il Regno Unito non avrebbe avuto i requisiti per l’euro. I dirigenti inglesi la considerarono una felice conseguenza, data la dolorosa recente esperienza con un politica monetaria importata. Ma questo significò che l’Inghilterra avrebbe continuato ad avere un piede dentro e un piede fuori dall’Europa. Ciò rafforzò l’ambivalenza del paese verso il progetto europeo – una ambivalenza che si sarebbe rovesciata in un rigetto con il referendum della Brexit del 2016.

Per gli altri paesi europei, l’esperienza mise in evidenza l’urgenza di completare l’euro. Essa mostrò che i tassi di cambio ancorati tra le valute nazionali erano fragili, e che la Bundesbank, lasciata alle strategie che le erano proprie, non avrebbe confezionato le sue politiche su misura dei più ampi bisogni europei.

Di fatto, il Mercoledì Nero rifletté la sua influenza anche nell’imminente referendum della Francia sul Trattato di Maastricht. I sondaggi indicavano che il Trattato, il documento fondativo dell’euro, era indirizzato verso una sconfitta – abbattendo con esso anche l’euro. Ma quattro giorni dopo, gli elettori francesi, avendo appena visto quale fosse l’alternativa, approvarono il Trattato [1].

In un certo senso, quindi, se Major non avesse preso la sua sfortunata decisione di portare la sterlina nell’ERM, l’Europa non avrebbe avuto l’euro. Come lo stesso Regno Unito, la Prima Ministra Liz Truss può solo sperare che il trentesimo anniversario del Mercoledì Nero non sarà “celebrato” con una riedizione.

 

 

 

 

 

[1] I voti favorevoli alla approvazione del Trattato furono il 51,04%;  quelli contrari il 49,96%.

 

 

 

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